Arqueología y Territorio Medieval 27, 2020. pp. 113-136 I.S.S.N.: 1134-3184 DOI: 10.17561/aytm.v27.5269

Le raffigurazioni zoomorfe e antropomorfe sulle produzioni invetriate palermitane di età islamica

Human and zoomorphic representations on the Islamic period Palermitan glazed wares

Viva Sacco1

ABSTRACT

The aim of this contribution is to provide a comprehensive classification on the zoomorphic and anthropomorphic motifs which decorate Palermitan glazed pottery. The chronological focus is the end of the 9th – 11th century, when Palermo was under the Islamic political power and the capital of Sicily. In this period the city began producing table glazed wares richly decorated. The repertoire of the decorative motifs refers to widespread themes in the pottery products of the Islamic world, even if proposes local reinterpretations.

Keywords: Islamic Palermo; Glazed wares; Decorative motifs; Human Figures; Zoomorphic motifs

ABSTRACT/RIASSUNTO

In questo contributo proporremo una classificazione completa dei motivi zoomorfi e antropomorfi che decorano le produzioni ceramiche invetriate palermitane. Da un punto di vista cronologico ci focalizzeremo sulla fine del IX – XI secolo, quando Palermo era dominata dagli arabo-musulmani ed era la capitale della Sicilia. In questo periodo la città inizia a produrre ceramica da mensa invetriata riccamente decorata. Il repertorio dei motivi decorativi rimanda a temi diffusi nelle produzioni del mondo islamico, anche se propone reinterpretazioni locali.

Parole chiave: Palermo Islamica; Produzioni invetriate; Motivi decorativi; Raffigurazioni Umane; Motivi zoomorfi

RESUMEN

El objetivo de esta contribución es proporcionar una clasificación completa de los motivos zoomorfos y antropomorfos que decoran la cerámica vidriada palermitana. El ámbito cronológico es de finales del siglo IX a finales del siglo XI, cuando Palermo estaba bajo el poder político islámico y era la capital de Sicilia. En este período, la ciudad comenzó a producir artículos de mesa vidriados, ricamente decorados. El repertorio de motivos decorativos remite a temas generalizados en los productos cerámicos del mundo islámico, aunque proponga reinterpretaciones locales

Palabras clave: Palermo islámico; Producción vidriada; Motvos decorativos; Figuras humanas; Motivos zoomorfos

1. INTRODUZIONE2

Negli ultimi anni gli studi sulle produzioni ceramiche palermitane di età islamica, databili nello specifico tra la fine del IX e l’XI secolo, si sono intensificati notevolmente. Gran parte del lavoro è stato dedicato all’identificazione e alla classificazione delle tipologie prodotte dagli ateliers palermitani, cercando di proporre nuove griglie cronologiche di riferimento per questi materiali3. La maggiore conoscenza delle produzioni ceramiche palermitane ha consentito quindi di disporre di nuovi dati che, uniti ad altri tipi di fonti, stanno permettendo di offrire nuove considerazioni su tematiche storico-sociali, come ad esempio il processo di islamizzazione della cultura materiale (cfr. ad esempio i contributi contenuti in ARDIZZONE, NEF, 2014), e storico-economiche, grazie all’analisi della circolazione di questi prodotti non solo in ambito urbano e regionale ma anche mediterraneo (ARDIZZONE, PEZZINI, SACCO, 2016; SACCO, 2018 con bibliografia).

Tra i tanti tipi di informazioni acquisite, il moltiplicarsi degli studi ceramologici ha messo in evidenza un ampio repertorio di motivi decorativi rappresentati sul vasellame invetriato palermitano, di cui in passato si percepiva solo una piccola parte. L’analisi sistematica delle produzioni invetriate palermitane ha consentito di identificare diversi tipi di motivi decorativi, tra i quali quelli geometrici, a stella, pseudo-epigrafici, fitomorfi, zoomorfi, antropomorfi ecc.4. Motivi di spazio non ci consentono, in questa sede, di presentare tutte le varianti documentate, ragione per cui abbiamo preferito concentrare l’attenzione sui decori zoomorfi e antropomorfi. Questa scelta ci spinge ad accennare brevemente in premessa alla questione del presunto iconoclasmo nel mondo islamico, tema molto complesso, ampiamente dibattuto dagli studiosi e che non è possibile sviscerare in fondo in questa sede. Sebbene l’Islam abbia scelto di non adottare le rappresentazioni figurate come oggetto di culto, è incorretto considerare l’arte islamica aniconica. Senza voler entrare troppo nei dettagli della questione, sintetizzeremo dicendo che dal punto di vista normativo nel Corano non si trovano tracce di condanna contro le immagini. Sono, invece, gli ḥadīth che in alcuni passaggi affermano che le immagini sono impure e rendono impuro il luogo in cui sono situate, che chi produceva le immagini rischiava di emulare l’operato di Dio, e quindi di entrare in competizione con il creatore stesso, e che potevano causare una ricaduta nel politeismo (su queste questioni cfr. BARRUCAND, 1993; CURATOLA, SCARCIA, 2001, p. 20-26; GRABAR, 1977; NAEF, 2015). Nonostante ciò, escludendo alcuni episodi iconoclasti, documentati del resto anche nel mondo cristiano, sin dalla formazione dell’arte islamica le rappresentazioni di esseri viventi sono sempre state presenti nei territori della dār al-Islām, utilizzate per decorare edifici di carattere secolare così come oggetti di vario tipo, di uso quotidiano ma anche più esclusivo.

2. SCOPO E LIMITI DELLA RICERCA

Lo scopo di questo contributo è di offrire una classificazione sistematica dei motivi decorativi zoomorfi e antropomorfi rappresentati sulle produzioni palermitane invetriate di età islamica datate tra la fine del IX e la prima metà dell’XI secolo. Per fare ciò ci avvarremo dei corpora studiati direttamente dalla scrivente (cfr. infra) integrandoli con i dati relativi al pubblicato, sebbene quest’ultimo presenti non pochi limiti. I problemi principali si riscontrano da un lato nell’apparato grafico, non sempre di sufficiente qualità, e dall’altro nell’approccio metodologico adottato per la classificazione. Per quanto concerne quest’ultimo aspetto, nella maggior parte dei casi, soprattutto nei lavori più datati in cui vigeva un approccio più storico-artistico che archeologico, è raramente specificato il luogo di produzione dei pezzi e ancor più sporadica è la descrizione degli impasti. Questo impedisce di identificare con certezza come palermitane alcune delle ceramiche prese in considerazione in questa sede. In alcuni casi abbiamo comunque scelto di includere nella classificazione reperti che presumiamo essere prodotti a Palermo, ma sui quali in realtà non possiamo avere alcuna certezza in assenza di ulteriori indagini, o comunque di una visione diretta del materiale.

Nonostante l’utopica aspirazione di completezza, siamo consapevoli dell’impossibilità di offrire un quadro completo in quanto ad ogni nuova indagine archeologica sono documentate nuove varianti decorative. Come vedremo più avanti, infatti, se da un lato i caratteri generali dei motivi decorativi possono definirsi relativamente ripetitivi, dall’altro le combinazioni e le varianti di questi elementi sono praticamente infinite, cosa che rende paradossalmente molti degli oggetti presi in esame degli unicos. Questo dato è molto interessante ai fini della comprensione della produzione, che è chiaramente di tipo artigianale, e che apre una serie di questioni alle quali è ancora difficile dare risposta in mancanza di ritrovamenti dei luoghi di produzione o comunque di fonti che descrivono in dettaglio l’organizzazione della produzione palermitana di questo periodo.

La classificazione proposta in questa sede si basa esclusivamente su caratteristiche stilistiche e non tecnologiche5. Dopo una prima presentazione generale in cui saranno indicati i tipi principali di organizzazione del decoro all’interno del vaso a seconda della variante formale, le raffigurazioni saranno divise innanzitutto in antropomorfe e zoomorfe e, queste ultime, suddivise ulteriormente per specie. Per ogni rappresentazione animata sarà descritta la posizione che occupa all’interno dello schema decorativo del vaso e si distingueranno i differenti tipi di realizzazione attraverso l’identificazione delle campiture e delle pose cercando, dove possibile, di proporre dei raggruppamenti a seconda di caratteristiche stilistiche che si ripetono. In quest’ultimo caso riporteremo, grazie anche ad ipotesi basate sulle associazioni con le altre categorie ceramiche (ARDIZZONE, PEZZINI, SACCO, 2014; SACCO, 2017), la durata di alcuni stili decorativi specifici. Nel caso delle attestazioni singole, invece, daremo, dove possibile, indicazioni cronologiche più generiche, che andranno verificate con il prosieguo delle ricerche.

Infine, ci preme precisare che in questo contributo non inseguiremo il mito delle origini, né tantomeno ci dilungheremo nell’attribuire possibili significati simbolici ai vari elementi individuati. Su quest’ultimo aspetto, bisogna tenere presente che gli oggetti sui quali si trovano le raffigurazioni presentate in questa sede sono di uso comune, e l’interpretazione dei contesti di provenienza è piuttosto generica. Complessivamente si tratta, infatti, di contesti abitativi, forse in alcuni casi legati alle élites urbane (PEZZINI, SACCO, SPATAFORA, 2018). Pertanto, se su altri media e in altri contesti raffigurazioni simili a quelle che presenteremo in questa sede evocano significati simbolici specifici, siamo piuttosto convinti che questi stessi motivi riprodotti sulle ceramiche palermitane abbiano più semplicemente una funzione decorativa. Su questo tipo di oggetti, quindi, è difficile stabilire fino a che punto le iconografie rappresentate erano comprese dalla popolazione che li utilizzava, e molto probabilmente avevano perso l’origine semantica degli oggetti ai quali si sono ispirati. Si tratta dunque di motivi decorativi alla moda, esito del movimento di uomini e oggetti che avevano generato abitudini sociali consolidate e preferenze specifiche nei consumatori (SIJPESTEIJN 2017). Per quanto riguarda la possibilità di rintracciare l’origine dei singoli elementi decorativi, invece, riteniamo che, oltre a non rispecchiare l’obiettivo di questo contributo, lo stato dell’arte non consente di ricostruire chiaramente le dinamiche di trasmissione. I temi decorativi che presenteremo sono piuttosto comuni nei territori della dār al-Islām e sono l’esito di dinamiche politiche, sociali ed economiche in corso nel Mediterraneo (ad esempio SIJPESTEIJN 2017). Tuttavia comprendere le modalità e i ritmi di diffusione di questi elementi in presenza di dati troppo esigui per alcuni territori, come ad esempio gran parte del Nord Africa e il resto della Sicilia6, è piuttosto complicato. A proposito della diffusione dei motivi decorativi, ci sembra molto interessante citare il “pluritopic model” proposto da Eva Hoffman in un contributo del 2001. L’autrice asserisce che la possibilità di attribuire stesse opere circolanti nel Mediterraneo tra il X e il XII secolo ad un alto numero di siti è l’affermazione della portabilità (portability) degli oggetti, e suggerisce che identità e significato erano resi noti attraverso la circolazione e un sistema di relazioni piuttosto che da fonti singole di origine o singole identificazioni. Il modello proposto non è quello di una sola cultura dominante che dalla capitale irradia verso le province (paradigma centro/periferia), ma piuttosto di “a broader cultural mechanism through which objects extended beyond themselves, both geographically and semantically; […] a common visual language across cultural and religious boundaries, whether those objects moved” (HOFFMANN, 2001, p. 21-22). Ciò non implica una cultura Mediterranea monolitica ma “the visual vocabulary” poteva essere usato in modi diversi da differenti culture (HOFFMANN, 2001, p. 23). Sebbene in questo contributo si faccia riferimento soprattutto ad oggetti di lusso che veicolano messaggi, riteniamo che i motivi decorativi raffigurati sulle ceramiche palermitane siano l’esito di questa circolazione di oggetti. In sintesi, piuttosto che parlare di derivazione di un determinato motivo da un’area geografica specifica, siamo in presenza di meccanismi molto più complessi che non è ancora possibile comprendere appieno a causa principalmente dello stato dell’arte sugli oggetti così come sulle dinamiche economiche e sociali dell’alto medioevo mediterraneo.

3. DESCRIZIONE DEL CORPUS

La classificazione dei motivi zoomorfi e antropomorfi si focalizzerà sulle produzioni da mensa invetriate palermitane. Come detto in precedenza, oltre al pubblicato, si farà riferimento al lavoro sistematico realizzato nell’ambito della tesi di dottorato della scrivente7 che ha riguardato lo studio dei corpora provenienti dagli scavi della Gancia e di palazzo Bonagia (Fig. 1, Tabella 1)8. Prendendo in considerazione i dati di questi ultimi, ovvero 6798 frammenti invetriati palermitani corrispondenti a 2524 NMI, le raffigurazioni animate sono state identificate sul 3% rispetto al totale dei frammenti e sul 4% considerando il NMI di individui. Potendo attualmente fare affidamento sui dati sistematici solo di questi scavi, è difficile riuscire a stabilire quanto queste cifre siano affidabili e quanto rispecchino il trend palermitano.

Delle varianti decorative figurate identificate fino ad oggi la maggior parte di esse, decora diverse varianti formali e dimensionali di catini carenati (Fig. 2.a.1), le più comuni nella produzione palermitana. Con minore frequenza si trovano anche su coppe o catini pseudo-troncoconici (Fig. 2.a.3) e in alcune forme chiuse, come bottiglie (ALEO NERO, 2017, p. 95) e tazze (Fig. 2.a.2). Da un punto di vista tecnologico sebbene, come abbiamo detto, questo particolare aspetto non sarà discusso in dettaglio in questa sede, vorremmo solamente precisare che fino a questo momento le decorazioni sembrano realizzate sempre sotto vetrina trasparente o opalescente9.

Sebbene siano attestate raffigurazioni zoomorfe sin dagli inizi della produzione invetriata palermitana documentata fino a questo momento (fine IX – inizi X secolo), i ritrovamenti aumentano esponenzialmente, sia nelle varietà rappresentate che negli stili decorativi impiegati, nelle fasi successive, e in special modo tra la fine del X e la prima metà dell’XI secolo. La lettura di questo dato, tuttavia, non è semplice in quanto, soprattutto per gli oggetti unici, è difficile stabilire se si tratta di elementi in contesto oppure di residuali o ancora di intrusioni più tarde, non potendo operare la verifica sulla base di associazioni ripetute. Inoltre per la seconda metà del X – prima metà dell’XI secolo si dispone di un numero molto più alto di contesti, e quindi in generale di individui, rispetto a quelli documentati per le fasi precedenti.

Fig. 1. Mappa della Sicila con localizzazione dei loughi citati nel testo; ingrandimento di Palermo con localizzazione dei siti della Gancia e di palazzo Bonagia

Fig. 2. a. varianti formali in cui sono documentati decori zoomorfi e antropomorfi: 1. catino carenanto; 2. tazza; 3. coppa o catino pseudo-troncoconico. b. schemi decorativi documentati: 1. centrale; 2. centrale con motivi geometrici o fitomorfi secondari; 3. centrale con motivi geometrici o fitomorfi secondari e racchiusa da una cornice composta da motivi geometrici, fitomorfi o (pseudo) epigrafici.

Fig. 3. Schemi decorativi del graticcio ware

Un’ultima precisazione concerne, infine, l’ambito cronologico preso in considerazione (fine del IX - prima metà dell’XI secolo), stabilito grazie ad una serie di ragionamenti logico-deduttivi derivati dallo studio sistematico delle associazioni ceramiche (ARDIZZONE, PEZZINI, SACCO, 2014; PEZZINI, SACCO, 2018; SACCO, 2014; ID., 2017; ID., 2018). In particolare per la ceramica invetriata sono stati proposti cinque “orizzonti ceramici” principali, individuati grazie all’evoluzione e all’introduzione di nuove tipologie (SACCO, 2017, p. 338). Tuttavia, queste ipotesi cronologiche sono utili soprattutto per datare i contesti in generale, mentre ancora molte sono le incertezze sui singoli individui. Per le ceramiche che hanno, invece, caratteristiche ripetitive (stile, campiture ecc.) sono state proposte forchette cronologiche più circoscritte, sebbene sempre non definitive e quindi soggette a verifiche e perfezionamenti futuri.

4. MOTIVI DECORATIVI

Osservando i nuovi dati sulle produzioni invetriate palermitane degli ultimi anni si ha l’impressione di una certa uniformità sotto il profilo morfologico10 e di una grande varietà nei motivi decorativi, nel complesso molto riconoscibili. In realtà ad un’attenta osservazione ciò che veramente varia sono le combinazioni con le quali sono rappresentati l’insieme dei decori e delle campiture interne ai vari elementi. Con “insieme di decori” intendiamo tutto il complesso dei motivi decorativi che compone un determinato individuo, che in genere è caratterizzato da un tema principale accompagnato da motivi secondari. Quando presenti, le raffigurazioni zoomorfe e antropomorfe costituiscono il tema principale del decoro11, e solitamente sono associate a motivi secondari, principalmente geometrici, (pseudo) epigrafici e/o fitomorfi12.

Identificare tutti i tipi di organizzazione del decoro non è semplice data la natura frammentaria di molti degli individui qui presi in considerazione. La maggior parte delle informazioni riguardano i catini carenati, in quanto i più documentati. Escludendo le combinazioni del “graticcio ware” (cfr. ultra), e prendendo in considerazione solamente la superficie interna del cavetto, sono stati identificati tre schemi principali in cui la figura zoomorfa o antropomorfa si trova sempre in posizione centrale: 1) isolata (Fig. 2.b.1); 2) associata a piccoli elementi di natura geometrica e fitomorfa secondari (Fig. 2.b.2); 3) racchiusa da una cornice circolare composta da motivi secondari ripetuti (geometrici, fitomorfi o pseudo-epigrafici) e associata a piccoli elementi di natura geometrica e fitomorfa secondari (Fig. 2.b.3)13. Solo in un caso la raffigurazione animale, e segnatamente il pesce, è usata come motivo secondario e sulla superficie esterna al di sopra della carena (Fig. 8a.2). Le raffigurazioni sono rappresentate libere (ad esempio Fig. 4.10), e solo raramente racchiuse all’interno di rotae (ad esempio Fig. 7.11), soprattutto nei casi in cui il motivo è ripetuto e non centrale isolato.

Per quanto riguarda il “graticcio ware”, un gruppo di invetriate trasparenti palermitane caratterizzate da un decoro antropomorfo o zoomorfo stilizzato campito da graticcio prodotto tra la metà del X e la metà dell’XI secolo circa (SACCO, 2017, p. 346-348), le combinazioni sono più numerose (Fig. 3) e la raffigurazione animale o umana può essere libera oppure inserita all’interno di rotae distaccate o annodate14 che tanto ricordano i tessuti circolanti nel mondo islamico15. Nel secondo caso in genere la raffigurazione non è isolata, ma è rappresentata a gruppi di 2, 4, 8 o 12. Pertinenti al “graticcio ware” sono anche alcune forme chiuse (due tazze e una bottiglia ad oggi), in cui sono documentate diverse teorie di raffigurazioni zoomorfe o antropomorfe.

I modelli dei temi raffigurati, relativamente limitati nella produzione palermitana, evocano in molti casi altri media tra cui metalli, avori e l’arte tessile, che, come abbiamo visto, ispirò alcune organizzazioni spaziali dei decori (cfr. supra).

Per quanto riguarda le campiture e specifici stili di realizzazione, tra le innumerevoli varianti identificate, tre tipologie hanno consentito di proporre altrettanti raggruppamenti distinti che, assieme ad elementi tecnologici e formali, hanno consentito di proporre wares specifici16. Si tratta in particolare dei cosiddetti “giallo di Palermo” (cfr. infra), “graticcio ware” (cfr. supra) e “tipo d’Angelo”, caratterizzato quest’ultimo da una decorazione tracciata in verde e bruno con pennellate di uguale spessore sotto una vetrina opalescente e prodotto dalla fine del X secolo (D’ANGELO, 2004; 2010; ultimo aggiornamento in SACCO, 2017, p. 352-356).

4.1. Aquile (Fig. 4)

La rappresentazione delle aquile è tra quelle zoomorfe più frequenti. Nella produzione palermitana questo tipo di volatile è rappresentato sempre nella stessa posa, ovvero ad ali spiegate, busto di profilo con testa e zampe rivolte o a destra o a sinistra, così come spesso è documentata nel resto del mondo islamico (ad esempio JENKINS, 1968, Fig. 2; VENTRONE VASSALLO, 1993, p. 173, Fig. 71). In tre casi dal becco pende un elemento di natura fitomorfa (Fig. 4.7, 10, 13). Allo stesso tempo si riconoscono diversi stili decorativi. Sei varianti sono accomunate dalla presenza di una campitura a graticcio, cosa che le fa rientrare nel cosiddetto gruppo del “graticcio ware” (cfr. supra), sebbene tra di loro presentino alcune differenze sia nella disposizione all’interno del vaso che in alcuni dettagli. Ad esempio la campitura a graticcio delle ali delle Fig. 4.3-6 è interrotta da una banda orizzontale, elemento assente nella Fig. 4.1. In quest’ultimo esemplare così come in quello a Fig. 4.6 il petto non è campito da graticcio, al contrario della Fig. 4.5. Anche la realizzazione degli occhi è visibilmente differente negli individui identificati. Gli altri esemplari di aquile documentate hanno campiture e stili differenti rispetto al “graticcio ware”. La Fig. 4.12 rientra, in particolare, nel gruppo del “tipo D’Angelo” (come il leone della Fig. 5b.6). Infine sono attestate aquile campite con bande verdi alternate a quattro linee brune sottili parallele tra loro (Fig. 4.13), bande verdi alternate a punti in bruno (Fig. 4.10), pois lasciati colare in maniera incontrollata (Fig. 4.7).

4.2. Cervidi (Fig. 5a)

Tre sono le varianti di cervidi identificate. Una rientra nel gruppo del “graticcio ware” (Fig. 5a.2), mentre le altre due hanno caratteristiche stilistiche diverse, entrambe aventi, sul capo delle corna (per confronti generici cfr. PHILON, 1980, Fig. 37 e 129), a differenza del primo individuo. Di quello rappresentato a Fig. 5a.1 si nota in particolare la realizzazione dell’occhio che ricorda quelle di alcune pavoncelle (Fig. 7. 1, 3) nonché di alcune produzioni ritrovate in Tunisia (ad esempio LOUHICHI, 2010, p. 74 Fig. 46). L’altro esemplare (Fig. 5a.3) possiede, invece, una campitura comparabile all’animale non identificato raffigurato a Fig. 9.12.

4.3. Leoni (Fig. 5b)

Nel bestiario delle ceramiche invetriate palermitane è documentato anche il leone. Solo in due casi le figure sono conservate integralmente, cosa che consente di verificarne la rappresentazione in posizione rampante (Fig. 5b.1, 6). La campitura e i motivi secondari dell’esemplare della Fig. 5b.1 è paragonabile a quella del pavone a Fig. 7.7. In altri due casi (Fig. 5b.4-5) è parzialmente conservato il corpo del leone, che sembra essere rappresentato nella stessa posa del precedente, ma con un riempimento a graticcio, cosa che fa rientrare questi due individui nel gruppo del “graticcio ware”. In altri due esemplari, invece, è conservato solamente il volto (Fig. 5b.2-3). Un ultimo esempio di leone è quello documentato tra i bacini di San Zeno a Pisa (Fig. 5b.6), realizzato con pennellate in verde e bruno dello stesso spessore sotto vetrina opalescente (BERTI, TONGIORGI, 1981, tav. LX), rientrante pertanto nel cosiddetto “tipo D’Angelo” (cfr. supra).

Fig. 4. Aquile da: Palermo - Gancia (2-3, 7-9); palazzo Bonagia (1 e 13); plazza Indipendenza (10, da Aleo Nero, CHIOVARO 2019); Via D’Alessi (4, da SPATPFORA 2004); Via Imera (11, da Spatafora et al. 2014) - Mazara (5, da Molinari 2010), Grado (12, Berti, Tongiorngi 1981), Roma (6, da Crypta Balbi 2010).

4.4. Pavoncelle (Fig. 6-7)

Tra tutti i motivi zoomorfi raffigurati nelle produzioni palermitane, la cosiddetta “pavoncella” rappresentata di profilo è certamente quello più documentato, declinato in diverse varianti sia da un punto di vista stilistico che nell’organizzazione del decoro (Fig. 3). Nel mondo islamico il pavone è un elemento iconografico piuttosto frequente (ad esempio BAHGAT, MASSOUL, 1930, pl. X n. 7 e pl. XV n.3; GOMES et alii, 2016, p. 232-234; JENKINS, 1968, Fig. 8; Les andalusies, p. 128, Fig. 120; MASON 1997, Fig. 11; WILKINSON, 1973, p. 51-52, Fig. 74a e 76). Sotto il profilo stilistico molti individui palermitani sono classificabili come “graticcio ware”, in quanto caratterizzati da campitura a graticcio (Fig. 6). All’interno di questo gruppo si notano differenze sia nella disposizione (Fig. 3) che in alcuni dettagli che riguardano la realizzazione dell’occhio e delle zampe, la presenza del pennacchio sulla testa o di un elemento vegetale pendente dal becco, quest’ultimo documentato anche nelle aquile (cfr. supra). A differenza di queste ultime, però, il collo delle pavoncelle è sempre uniformemente riempito da verde o giallo/bruno, mentre il corpo è sempre integralmente campito da graticcio. Solo nel caso riprodotto alla Fig. 6.16, la parte superiore dell’ala è campita in verde. Alcuni esempi di pavoncelle campite a graticcio e comparabili agli esemplari palermitani sono state documentate in Ifrīqiya e classificate come produzioni locali (GRAGUEB, 2013, p. 290; LOUHICHI, 2000, Fig. 26; ZBISS, 1957, Fig. 10) e in Libia (ABDUSAID et alii, 1978; SCHMITT, MOUTON, 2012).

Fig. 5. a. cervidi da Palermo - Chiostro San Domenico (1, Lesnes 1993), Gancia (2-3). b. Leoni da Palermo - Gancia (2-5) e palazzo Bonagia (1) - e da Pisa (6, Berti, Tongiorgi 1981).

La pavoncella è documentata anche in altre varianti (Fig. 7), stilisticamente diverse tra loro, in cui si trova in posizione centrale, tranne in tre casi in cui è ripetuta (Fig. 7.2, 7, 11). Un individuo si contraddistingue per la presenza di una campitura a scaglie (Fig. 7.3), mentre lo stile di un altro frammento (Fig. 7.4) ricorda molto un lustro egiziano (BAGHAT, MASSOUL, 1930, pl. X.7; BRAMOULLÉ et alii, 2017, p. 204). La realizzazione di un’altra pavoncella (Fig. 7.7), invece, è molto simile a quella del leone a Fig. 5b.1, mentre in quella a Fig. 7.5 il volatile è particolarmente stilizzato e colorato in verde. In altri due esemplari il corpo della pavoncella è realizzato a bande oblique con diverse combinazioni di colori verde, bruno e giallo (Fig. 7.2, 11)17. Nel caso della Fig. 7.9, invece, le bande oblique brune sono interrotte da una banda trasversale riempita da una serie di archetti. In un ultimo caso si notano, inoltre, due bande campite da un motivo pseudo-epigrafico (Fig. 7.10).

4.5. Pesci (Fig. 8.a)

Tra i decori zoomorfi della produzione palermitana sono stati identificati anche due esemplari di pesci, anch’essi presenti nel repertorio del mondo islamico (ad esempio PHILON, 1980, Fig. 443, 560 e 561). In un primo caso l’animale è campito a scaglie e si trova in posizione centrale (Fig. 8.a.1). In un secondo esemplare, invece, una teoria di pesci si trova in posizione secondaria sulla parte alta ed esterna della carena (Fig. 8.a.2). In quest’ultimo caso il pesce conservato è campito da colore verde/turchese.

4.6. Volatili (Fig. 8.b)

Lo stile di due tipi di volatili (Fig. 8.b.1-2), ottenuti mediante l’esclusivo uso del manganese, assieme alle caratteristiche morfologiche e tecnologiche dei pezzi in questione, permette di classificare questi individui nel gruppo del cosiddetto “giallo di Palermo”, una produzione simile a quella ifrichena denominata “jaune de Raqqada” (SACCO, 2017, p. 343-344), circoscritta cronologicamente tra la fine del IX e i primi decenni del X secolo. Un altro individuo (Fig. 8.b.5) è contraddistinto da un volatile che ricorda quelli del “giallo di Palermo”, ma le cui differenti caratteristiche tecnologiche non consentono di inserirlo con certezza in questo gruppo. Oltre a questi, altri due volatili con caratteristiche stilistiche diverse tra loro sono stati identificati, uno realizzato solo in bruno (Fig. 8.b.3) e l’altro realizzato in bruno e campito in verde (Fig. 8.b.4).

Fig. 6. Pavoncelle del tipo graticcio ware da Palermo; Castello San Pietro (4, da Arcifa, Bagnera 2018), Gancia (1, 3, 6, 8, 10, 12), palazzo Bonagia (5, 7, 11, 14), Salinas (2 e 15, da Arcifa, Bagnera 2018), Steri (9, da Spatafora 2005), Palermo (16, da Gabrieli, Scerrato 1979).

4.7. Non identificati (Fig. 9)

Nel repertorio palermitano alcuni motivi zoomorfi non sono identificabili in parte perché frammentari, in parte perché raffiguranti esseri fantasiosi e non attribuibili ad una specie specifica (Fig. 9). Quella degli animali compositi o fantastici è, in realtà, una caratteristica che si documenta molto frequentemente nei repertori zoomorfi riprodotti in ambito islamico (ad esempio GRUBE, 1994, Fig. 53 e 59; LOUHICHI, 2010, Fig. 47; WATSON, 2004, cat. Gc4, Gc5, H5).

Fig. 7. Pavoncelle da: Palermo - Gancia (1-2), palazzo Bonagia (3-5), piazza Bologni (8, da Aleo Nero, Vassallo 2014), Sant Antonino (7, da Aleo Nero, Chiovaro 2018), Palermo (10, da Arcifa, Bagnera 2018; 11, da Gabrieli, Scerrato 1979) - Piazza Armerina (6, da Pensabene, Barresi 2015).

Segnaliamo in particolare tre esemplari caratterizzati da un collo molto allungato e girato indietro che, per il tipo di campitura, rientrano nel gruppo del “graticcio ware” (Fig. 10.6, 8-9). Questa posa particolare caratterizza in genere animali identificati come gazzelle (LOUHICHI, 2010, Fig. 46; WATSON 2004, p. 280 Cat.Ja.8 LNS456Cd), anche se nel nostro caso è difficile definirle come tali, ragion per cui preferiamo classificarle tra i motivi zoomorfi non identificati. La posa di altri tre elementi figurati (Fig. 9.12, 15, 16), invece, trova confronti con animali spesso identificati come lepri (PHILON, 1980, Fig. 406, 416, 414). In realtà nel nostro caso l’identificazione come lepre è piuttosto incerta, e questa stessa incertezza è riscontrabile anche su altre produzioni documentate nel mondo islamico (WATSON 2014, p. 193). Questi tre individui sono stilisticamente differenti tra loro sebbene l’animale sia riprodotto sempre in posizione centrale associato a piccoli elementi di natura geometrica e fitomorfa secondari. In due casi (Fig. 9.15-16) l’animale è ulteriormente racchiuso da una cornice circolare composta da motivi secondari ripetuti. Due esemplari, diversi tra loro, sono interamente riempiti da un decoro in verde con dettagli realizzati da linee sottili in bruno (Fig. 9.12 e 15), mentre il terzo (Fig. 9.16), solo ipoteticamente palermitano e di cui si ha a disposizione solamente una foto in bianco e nero (D’ANGELO, 2010), ha una campitura realizzata a bande verticali probabilmente alternate in verde e bruno (Fig. 9.16).

Fig. 8. a. Pesci da Palermo: palazzo Bonagia (1) e dalla Gancia (2); b. Volatili da Palermo: Castello San Pietro (6, Arcifa, Bagnera 2014), Gancia (1-2, 5), palazzo Bonagia (4), palazzo Statella Spaccaforno (3, da Spatafora, Canzonieri 2014).

Un altro individuo, su cui è raffigurato un animale corpulento campito da un motivo a graticcio, rientra nel gruppo del “graticcio ware” (Fig. 9.14). L’elemento zoomorfo della Fig. 9.13, è, invece, contraddistinto da corpo a clessidra, in cui la campitura in verde è interrotta da tre linee in bruno parallele tra loro che attraversano tutta la lunghezza del corpo, e da un occhio che ricorda quello di alcune varianti della pavoncella raffigurata su “graticcio ware” (Fig. 6.14). Il collo di quest’ultimo è paragonabile a quello della Fig. 9.17, ritrovato a Milena (ARCIFA, 1990), che differisce però per la realizzazione dell’occhio e per la presenza di orecchie più lunghe.

Sugli altri resta ben poco da dire, tranne che gli esemplari della Fig. 9.5 e 10 sembrerebbero essere simili per “specie”, comunque non identificata, ma non per stile di riempimento.

4.8. Raffigurazioni umane (Fig. 10)

Le raffigurazioni umane si trovano regolarmente rappresentate nelle produzioni ceramiche palermitane, anche se sembrerebbe solo a partire dai contesti di fine X – primi XI secolo (SACCO, 2017, p.356-357). In particolare quelle presentate in questa sede non dovrebbero essere datate oltre la prima metà dell’XI secolo, ad esclusione forse di una (cfr. infra, Fig. 10.12).

Le organizzazioni del decoro impiegate sono simili a quelle associate agli elementi zoomorfi (Fig. 3). Cinque invece sono i temi riconoscibili fino a questo momento. Il bevitore (Fig. 10. 7-8, 16) è certamente il più diffuso nella produzione palermitana, documentato in diversi esemplari stilisticamente differenti tra loro, e si ritrova molto anche nel resto del mondo islamico (ad esempio MARÇAIS, 1957, p. 82-84; GRUBE, JOHNS, 2005 con bibliografia; PHILON 1980, Fig. 463). Gli altri quattro temi riconosciuti, invece, sono rappresentati da individui singoli. In un esempio (Fig. 10.4) è raffigurato il sovrano seduto che sembra tenere nella mano destra qualcosa, forse un fiore, circondato da due portatori di flabello18. Gli altri temi rappresentati sono quello del cavaliere armato di lancia (Fig. 10.12; ROTOLO, 2012), quello dell’uomo in navigazione (Fig. 10.9) e quello dell’uomo con in mano un elemento vegetale (?) (Fig. 10.15; ARCIFA, 1990). Le scene rappresentate nei primi due temi descritti fanno riferimento alla vita di corte, e rientrano a pieno titolo nel cosiddetto “ciclo del principe”, ovvero la raffigurazione di tutta una serie di azioni legate agli svaghi di corte, di cui si hanno numerosi esempi su ceramica (CURATOLA, SCARCIA, 2001, p. 44-45; WATSON, 2004, Cat. E11, E12) e di cui la Cappella Palatina di Palermo offre un’ampia casistica (GABRIELI, SCERRATO, 1979, p. 373; GRUBE, JOHNS 2005 con bibliografia). Il tema dell’uomo in navigazione, invece, fa piuttosto parte di scene legate alla vita quotidiana, che iniziano ad essere rappresentate su ceramica proprio durante l’età fatimide (BAER, 1999). Purtroppo il resto degli individui documentati sono troppo frammentari per poterli ricollegare a temi specifici. Si nota solamente che in una serie di casi la figura umana sembra tenere in mano un oggetto non identificato (Fig. 10.1, 3, 13-14 e 17).

Fig. 9. Animali non identificati da Palermo - Gancia (1-4), piazza Bologni (10, da Aleo Nero, Vassallo 2014), piazza della Vittoria (8-9, Aleo Nero, Vassallo 2014), Steri (6 e 15 foto di V. Sacco) - piazza Armerina (5, Bonanno, Canzonieri 2018), Colmitella (7, Rizzo, Romano 2014), palazzo Bonagia (13), Magione (14, Aleo Nero, Chiovaro 2019), Sant Antonino (12, Aleo Nero, Chiovaro 2019), Montagnola di Marineo (16, D’Angelo 2010) e Milena (17, Arcifa 1990).

Tabella 1. ricorrenza delle organizzazione dei decori per singola specie.

Fig. 10. Raffigurazioni antropomorfe da Palermo - Gancia (1-2, 5-8), palazzo Bonagia (3-4, 9), Steri (10-11, foto di V. Sacco, 18, da Aleo Nero 2019), Caserma Cangialosi (16, da Aleo Nero 2019), Sant’Antonino (17, da Aleo Nero 2019), Palermo (13, da Gabrieli, Scerrato 1979) - Baida (12, da Ratolo 2012), Sofiana (14, da Florilla 2009), Milena (15, da Arcifa 1990).

Da un punto di vista stilistico solo le raffigurazioni facenti parte del “graticcio ware” propongono la stessa figura che si ripete in serie all’interno di una singola rappresentazione (Fig. 10.7), per l’appunto una figura antropomorfa stilizzata nell’atto di bere la cui veste è realizzata con una campitura a graticcio (Fig. 10.7-8 e 17). In tutti gli altri casi si tratta di attestazioni uniche, in cui si notano alcuni elementi che ricorrono. Tra questi ultimi, ad esempio, si tratta in tutti i casi, eccetto tre (Fig. 10. 4, 10, 12) di uomini rappresentati di profilo. La realizzazione dell’occhio sovrastato da un lungo sopracciglio sembra essere un elemento che ricorre in un certo numero di individui palermitani (Fig. 10.1, 2, 5, 11 e 16) e trova confronto in rappresentazioni del mondo islamico (ad esempio Les andalusies p. 128, Fig. 121-122; LOUHICHI, 2010, p. 82 Fig. 51; PHILON 1980 Fig. 127-128). In tre casi, stilisticamente molto distanti, è presente nella capigliatura un ricciolo poggiato sulla guancia (Fig. 10.4, 11 e 15), anche questo molto ricorrente nel mondo islamico (ad esempio HETTINGHAUSEN, 1942, Fig. 22; PHILON, 1980, Fig. 127, 358, 474, 483, 485-489; RAYNOLDS, 2016, Fig. 8.10b). Un altro elemento identificato in più esemplari è un’appendice pendente dalla veste e posta sulla schiena, presente nelle raffigurazioni umane del “graticcio ware” (Fig. 10.7-8) e nella Fig. 10.11.

Le vesti, invece, sono rese impiegando diverse campiture. Si riconoscono il graticcio (Fig. 10.7-8, 17 e forse 5), le scaglie (Fig. 10.4), le righe verticali semplici in bruno manganese (Fig. 10.6 e 11) o oblique (Fig. 10.3) e le righe verticali verdi alternate a quelle brune (Fig. 10.10). In un caso, invece, la campitura rappresenta l’armatura di un uomo a cavallo raffigurato con il capo coperto da un elmo mentre sorregge una lancia con una mano e le redini con l’altra (Fig. 10.12)19. Questo individuo si differenzia dagli altri anche per un altro elemento: l’assenza del verde nella decorazione dipinta. Infatti il pezzo è caratterizzato da una decorazione in bruno sotto vetrina trasparente e tendente al giallino. In tutti gli altri casi, invece, la decorazione è sempre realizzata in verde e bruno e, in alcuni casi, anche in giallo.

Alcuni elementi, invece, sono unici. Ad esempio l’oggetto, non identificato, rappresentato nella Fig. 10.3. in mano alla figura umana. Anche la raffigurazione dell’uomo in navigazione rappresenta un unicum nel repertorio palermitano, sebbene navi siano presenti in altre produzioni del mondo islamico (cfr. ad esempio BERTI, TONGIORGI, 1981 per esemplari da al-Andalus). Nessun confronto, infine, per la rappresentazione antropomorfa della Fig. 10.10, frontale con parte superiore del capo appuntita e una serie di linee verticali che attraversano il viso interrotte nel punto corrispondente agli occhi, gli unici del volto ad essere visibili (BRUNAZZI, CANZONIERI, SPATAFORA, 2015).

5. CONCLUSIONI

Osservando le produzioni ceramiche circolanti nel vasto mondo islamico attraverso i numerosi cataloghi e studi ad esse dedicate, è chiaro che la presenza di decorazioni zoomorfe e antropomorfe è abbastanza frequente e diffusa. Pertanto il ritrovamento di questo tipo di motivi anche nei territori occidentali della dār al-Islām20 non desta particolare stupore. Ad oggi, pochi sono gli studi dedicati a questo specifico aspetto delle produzioni ceramiche circolanti nell’area mediterranea del mondo islamico. In Sicilia, aldilà di alcune recenti riflessioni su specifici motivi21, detti studi sono praticamente assenti, mentre per l’Ifrīqiya occorre ricordare i lavori di Zbiss (ZBISS, 1957) e Louihchi (LOUIHCHI, 2000) sui soggetti figurati e per al-Andalus quello sulle tecniche e sui motivi decorativi proposto da RETUERCE e ZOZAYA, 1986.

In questo contributo abbiamo descritto le varianti decorative zoomorfe e antropomorfe raffigurate sulle produzioni ceramiche palermitane databili tra la fine del IX e la prima metà dell’XI secolo identificate fino a questo momento. Nel tentativo di proporre considerazioni conclusive, ci rendiamo conto che la carenza di studi sistematici non permette di rispondere a tutte le domande che l’analisi di questo specifico aspetto solleva. Ad esempio restano insolute questioni legate alle committenze e all’eventuale possibilità di riconoscere una differenziazione sociale attraverso la presenza di motivi decorativi specifici. Nonostante i limiti che caratterizzano il dato a nostra disposizione, possiamo comunque offrire alcune considerazioni.

Innanzi tutto, da un punto di vista cronologico, i primi animali identificabili a comparire nel bestiario palermitano sono i volatili. In particolare quelli appartenenti al gruppo del cosiddetto “giallo di Palermo” documentati in vari contesti palermitani databili tra fine IX – primi del X secolo (ARDIZZONE, PEZZINI, SACCO, 2014; SACCO, 2017). Lo stile di realizzazione di questi volatili non sembra proseguire in fasi successive e gli unici confronti istituiti sono con alcune produzioni ifrichene conosciute come “jaune de Raqqada”, probabilmente contemporanee a quelle palermitane. Incerta è, invece, l’identificazione dell’animale rappresentato alla Fig. 9.11 e documentato in uno strato pressappoco coevo a quelli in cui si ritrovano le ceramiche classificabili come “giallo di Palermo” di Castello San Pietro (ARCIFA, BAGNERA, 2014).

A partire dalla metà del X secolo circa, il bestiario si diversifica sia nelle specie raffigurate che nel repertorio stilistico. Si ritrovano aquile, pavoncelle, leoni, cervidi, lepri e pesci, rappresentati ciascuno in una determinata posa, ma declinati in innumerevoli varianti che riguardano principalmente le campiture e quindi lo stile di realizzazione. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, occorre evidenziare il riconoscimento di due wares specifici (cfr. supra), il “graticcio ware” e il “tipo D’Angelo”, la cui produzione è circoscritta in un arco di tempo specifico. Infatti, il primo compare nei contesti di metà X e prosegue fino alla metà dell’XI secolo circa, mentre la produzione del secondo inizia intorno alla fine del X – inizi dell’XI secolo e prosegue nel corso dell’XI secolo.

Le ultime a comparire in ordine di tempo sono le rappresentazioni antropomorfe, documentate a partire dai contesti di fine X – primi dell’XI secolo e declinate in diverse varianti, sebbene i temi rappresentati, come abbiamo visto, siano abbastanza limitati. La presenza delle raffigurazioni antropomorfe, assieme alla comparsa di nuovi wares, nuove varianti formali e decorative e importazioni provenienti da nuovi territori, è stata messa in connessione con la riconfigurazione dei mercati mediterranei in seguito allo spostamento della capitale fatimida in Egitto nel 973 (SACCO, 2017). In passato si tendeva a legare l’elevata frequenza nell’arte fatimide delle rappresentazioni figurative22 alle credenze religiose sciite dei regnanti dell’Egitto fatimide. In realtà questa spiegazione, come osserva la Naef, è troppo semplicistica soprattutto considerando che la maggior parte della popolazione su cui governavano i Fatimidi resta fedele al sunnismo (NAEF, 2015, p. 44). Inoltre, nel 1972 Oleg Grabar aveva ipotizzato che l’elevata presenza nell’iconografia rappresentata sulla ceramica fatimide, soprattutto sui lustri, di raffigurazioni umane e zoomorfe era da connettere con la svendita dei tesori imperiali fatimidi nella seconda metà dell’XI secolo causata dal declino della dinastia. Questo aveva messo sul mercato beni di lusso che prima erano appannaggio della corte, cambiando il gusto della popolazione locale. Questa teoria, tuttavia, venne ben presto confutata grazie al ritrovamento di lustri databili tra le fine del X – primi dell’XI secolo decorati da elementi zoomorfi e antropomorfi (GRUBE 1994, p. 138; JENKINS 1975).

Volendo ora offrire qualche spunto sullo stile e l’organizzazione dei decori delle invetriate palermitane, siamo consapevoli che il quadro a disposizione rende difficile proporre interpretazioni definitive. Allo stato attuale delle conoscenze abbiamo una visione dicotomica dei motivi decorativi: da un lato i temi rappresentati e l’organizzazione del decoro sembrano piuttosto standardizzati e limitati, dall’altro si registrano innumerevoli varianti compositive. Questa visione è valida non solo per i decori antropomorfi e zoomorfi, ma anche per la maggior parte degli altri motivi, principali o secondari, che decorano le produzioni da mensa. Allo stesso tempo la produzione palermitana resta abbastanza riconoscibile. Probabilmente a contribuire a questa riconoscibilità, oltre ad elementi tecnologici e alla palette di colori utilizzata, sono una serie di motivi secondari che possono essere considerati piuttosto standardizzati sia nella fattura che nella posizione che occupano all’interno del vaso. Ad esempio il diffusissimo motivo a cuori concatenati, attestato quasi sempre nella parte alta della carena sulla superficie interna, anche se in alcuni più rari casi si può trovare sul cavetto interno e, nelle forme chiuse, sulla superficie esterna. O ancora il motivo ad archetti concentrici che, declinato in diverse varianti, si trova sempre sulla superficie esterna sulla parte alta della carena (cfr. SACCO, 2017 per una casistica più estesa). Tornando nello specifico ai motivi zoomorfi e antropomorfi, abbiamo visto come in certi casi alcuni elementi specifici ci consentono dei raggruppamenti. È questo il caso del “giallo di Palermo”, del “graticcio ware” e del “tipo D’Angelo”, identificati grazie ad un insieme di caratteristiche che comprendono stile decorativo, tipo morfologico e tipo tecnologico23. Tuttavia anche in questi casi è difficile capire se siamo di fronte a produzioni in serie. Sia nel caso del “giallo di Palermo” che del “tipo d’Angelo”, gli esemplari recanti raffigurazioni zoomorfe sono ancora troppo pochi per poter approfondire la questione. Nel caso del “graticcio ware”, decisamente più frequente e in cui effettivamente si riscontra un elemento che si ripete, ovvero la campitura a graticcio, la variabilità degli schemi decorativi, delle combinazioni con i motivi secondari nonché di dettagli di esecuzione degli elementi zoomorfi e antropomorfi è talmente alta da non consentire di sostenere l’ipotesi di una produzione in serie. Tuttavia la riconoscibilità di queste produzioni è innegabile, tanto da essere stata considerata già negli studi passati “a distinctive ware from western Sicily” (KENNET, 1995, p. 224-226). L’idea che ci siamo fatti è quella di un modello, o più semplicemente di una moda di riferimento, che circolava ma che viene declinato in differenti modi.

Se invece consideriamo, oltre che i decori, anche le forme sulle quali venivano realizzate le decorazioni, si apre la questione dell’organizzazione della produzione all’interno della bottega. Lo studio delle ceramiche sembra mostrare da un lato una produzione di forme, sebbene artigianale, piuttosto standardizzata nelle tipologie prodotte, mentre dall’altro un numero relativamente limitato di temi decorativi ma declinati in innumerevoli varianti. Questo ci spinge ad immaginare botteghe in cui operavano almeno due figure professionali distinte: una specializzata nella modellazione e l’altra che si dedicava ai decori. Chiaramente questa resta solamente una ipotesi in assenza del ritrovamento e dello studio dei centri che producevano le invetriate palermitane in questo periodo.

Allargando la scala di riferimento, due sono le principali questioni che vorremmo porre in questa sede. La prima è capire se, in quali quantità e dove produzioni palermitane recanti decori antropomorfi e zoomorfi circolavano al di fuori di Palermo. Da un punto di vista quantitativo è impensabile azzardare ipotesi data la quasi totale assenza di studi sistematici che prevedono quantificazioni. Inoltre la metodologia spesso impiegata per lo studio anche preliminare dei corpora ceramici, soprattutto nei lavori più datati, frequentemente non prevede l’identificazione degli impasti, cosa che non consente di stabilire con certezza la provenienza palermitana dei frammenti. Fortunatamente questa tendenza si sta invertendo, e siamo in grado di affermare la diffusione costante di queste ceramiche in Sicilia, come ad esempio a Piazza Armerina (RANDAZZO, ALFANO, BARRESI, 2018), Sofiana (FIORILLA, 2009), Milocca (ARCIFA, 1990), Mazara (MOLINARI, 2010). Più complicato è riuscire a stabilire la diffusione al di fuori del contesto isolano. Nella penisola italiana, diversi individui di invetriate palermitane sono stati identificati (cfr. ad esempio SACCO 2018), ma gli unici esempi accertati in cui compaiono elementi zoomorfi sono quelli di Pisa (BERTI, TONGIORGI, 1981; BERTI, GIORGIO, 2010, p. 32-34, Fig. 46) e Roma (Crypta Balbi 2010). In Nord Africa la produzione di invetriate simili a quelle palermitane complica le possibili identificazioni. Premettendo che non immaginiamo una esportazione massiva di produzioni palermitane in queste zone, in quanto queste ultime già soddisfacevano autonomamente il loro fabbisogno, occorre osservare che nei lavori passati si dava per assodato che i ritrovamenti in area nord africana non potevano che essere produzioni locali. D’altronde le tipologie e il volume delle produzioni palermitane erano molto poco conosciute. Altrettanto sottostimato era l’importante ruolo commerciale che la città di Palermo rivestiva tra X e XI secolo, e che solo recentemente è stato riconosciuto (cfr. ad esempio BRAMOULLÉ, 2014; GOLDBERG, 2012; NEF, 2007; PICARD, 2015; SACCO, 2018). Riteniamo pertanto che, alla luce dei recenti studi sulle produzioni palermitane occorrerebbe riconsiderare una serie di individui. A proposito della necessaria revisione di ceramiche che già in passato erano state oggetto di analisi petrografiche, vorremmo citare come esempio i famosi “bacini di Pisa”. La revisione di alcune delle ceramiche, che le analisi petrografiche realizzate negli anni ’70 e ’80 avevano definito “siculo-maghrebine” (BERTI, TONGIORGI, 1981), ha permesso di identificarle piuttosto come palermitane (BERTI, GIORGIO, 2010). Inoltre, recentemente un frammento palermitano è stato identificato tra i materiali dei vecchi scavi di Ṣabra al-Manṣūriyya24, mentre per alcuni frammenti ritrovati a Sirte in Libia, sui quali sono state effettuate analisi chimiche, è stata ipotizzata una origine siciliana (SCHMITT, MOUTON, 2012). Alla luce di quanto detto andrebbero, dunque, riconsiderati anche altri frammenti ritrovati a Sirte (ABDUSSAID et alii, 1978, p. 17, p. II), ad Ajdabija (RILEY, 1982) e quelli conservati presso il Benaki Museum (PHILON, 1980, p. 59-60, Fig. 127-130).

Infine il dato palermitano va contestualizzato all’interno di una scala di riferimento più ampia e contestualizzato con il resto del mondo islamico. È evidente che sul piano iconografico i temi raffigurarti nelle produzioni palermitane siano del tutto inseriti nel panorama della dār al-Islām. Tuttavia appare altrettanto chiaro come Palermo sviluppi un proprio linguaggio stilistico del tutto riconoscibile, che in alcuni casi ebbe un discreto successo anche al di fuori dell’isola. In questo quadro, escludendo il caso specifico del pavone rappresentato alla Fig. 7.4 e confrontato, come abbiamo visto, con un individuo di lustro egiziano (cfr. supra), gli unici confronti stilistici puntuali documentati fino a questo momento sono quelli con le produzioni ifrichene. Ci riferiamo in particolare al “giallo di Palermo” e al “graticcio ware”, molto simili rispettivamente al “jaune de Raqqada” e ad alcuni individui ifricheni caratterizzati da motivi zoomorfi campiti a graticcio. Questo confronto con l’Ifrīqiya è ulteriormente visibile anche nell’uso di motivi secondari (cuori concatenati, archetti ecc.) e di simili varianti morfologiche (catini carenati principalmente) durante tutto l’arco cronologico preso in considerazione, e ci spinge ad ipotizzare un rapporto diretto e continuo tra le due aree.

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1. École française de Rome – Moyen Âge
https://orcid.org/0000-0001-7937-4598

2. Vorrei in primo luogo ringraziare Silvia Armando per i consigli bibliografici fornitimi sul soggetto trattato in questa sede. Sono molto grata anche ai revisori che hanno valutato questo contributo, in quanto le loro critiche e i loro suggerimenti hanno contribuito a migliorarne i contenuti.

3. Cfr. in particolare i contributi contenuti in ARDIZZONE, NEF, 2014 e inoltre PEZZINI, SACCO, 2018; SACCO, 2017; 2018.

4. Nell’ambito della tesi di dottorato della scrivente ad esempio sono state identificate oltre 250 varianti (SACCO 2016).

5. L’aspetto tecnologico è in corso di studio nell’ambito del progetto La Sicile et la Méditerranée entre le VIIe et le XIIe siècle: diversité interne et polycentrisme Méditerranéen diretto da Lucia Arcifa e Annliese Nef e integrato nel programma quinquennale dell’école française de Rome (2017-2021) (Capelli et alii. c.d.s.).

6. In passato molte produzioni che oggi sappiamo essere palermitane o siciliane erano considerate ifrichene (cfr. infra). Le classificazioni sistematiche in Sicilia sono piuttosto recenti e ancora troppo sporadiche, e si sono concentrate molto su Palermo. Sebbene altri centri di produzione siano stati indagati, tra i quali soprattutto Agrigento (BONACASA CARRA, ARDIZZONE, 2007) e Mazara (da ultimo MOLINARI, 2010, inoltre su Mazara sono in corso nuovi studi all’interno del progetto ERC SicTransit), la produzione palermitana resta la più conosciuta e riconosciuta.

7. Dottorato intitolato Une fenȇtre sur Palerme entre le IXe et la première moitié du XIIe siècle. Étude du matériel céramique provenant de deux fouilles archéologiques menées dans le quartier de la Kalsa realizzato presso l’Université Paris-Sorbonne sotto la direzione di Jean-Pierre Van Staevel, in co-tutela con l’Università di Messina sotto la direzione di Fabiola Ardizzone (SACCO, 2016).

8. Gli scavi della Gancia sono stati realizzati, sotto la direzione di Francesca Spatafora, da Fabiola Ardizzone e Valeria Brunazzi, mentre gli scavi di palazzo Bonagia sotto la direzione di Carmela Angela Di Stefano.

9. Unica eccezione è rappresentata dalla produzione palermitana cosiddetta a “boli gialli” della metà dell’XI secolo, in cui la decorazione è realizzata sopra vetrina stannifera (SACCO et alii, c.d.s.). Tuttavia in questa produzione non sono ancora documentate raffigurazioni animate.

10. La produzione palermitana da mensa presenta una preponderanza di catini carenati con varianti che riguardano principalmente le dimensioni e i dettagli morfologici. Il corredo da mensa è completato da altre forme quali coppe o catini pseudo-troncoconici e forme chiuse (bottiglie, vasi con filtro, micro vasi ecc.) che sono decisamente in minore quantità rispetto ai catini carenati.

11. Escludendo poche eccezioni (cfr. infra).

12. Esempi di questi motivi secondari si possono ad esempio trovare in SACCO, 2017.

13. Non si prendono in considerazione i motivi secondari situati sulla superficie interna al di sopra della carena.

14. Nel caso del “graticcio ware”, l’inserimento dell’elemento zoomorfo all’interno di rotae sembra essere molto più frequente rispetto al resto dei decori animati non campiti da graticcio.

15. Su quest’ultimo aspetto cfr. ARCIFA, BAGNERA, 2018 p. 32-33.

16. Ovvero gruppi di ceramiche appartenenti ad uno stesso ware (insieme di caratteristiche tecnologiche) ma contraddistinte da uno specifico repertorio morfologico e decorativo (SACCO, 2017, p. 337).

17. La campitura Fig. 8.2 trova confronto con quella ritrovata a Milena (ARCIFA, 1990).

18. Se il modello di questa iconografia trova origine nel mondo iranico-sasanide, una scena simile è ad esempio rappresentata nella Cappella Palatina, in cui però il sovrano è in procinto di bere (GABRIELI, SCERRATO, 1979 Fig. 44, 46).

19. Questo individuo presenta caratteristiche tecnologiche e morfologiche tipiche di ceramiche circolanti nell’XI secolo. Tuttavia gli elementi più tardi del contesto si datano pressappoco nella prima metà del XII secolo, anche se sono presenti numerosi residuali ascrivili all’XI secolo (inedito).

20. Intendiamo con questa definizione i territori arabo-musulmani che comprendono Sicilia, Nord Africa e al-Andalus.

21. Ci riferiamo in particolare alle recenti considerazioni puntuali di Alessandra Bagnera sulle pseudo-iscrizioni e sul motivo a pavoncelle (da ultimo ARCIFA, BAGNERA, 2018).

22. La provenienza degli oggetti sui quali erano presenti le rappresentazioni figurate è in realtà in molti casi da verificare (cfr. ad esempio CONTADINI, 1998, p. 83).

23. Quest’ultimo identificato macroscopicamente.

24. Inedito. Ringrazio Soundes Gragueb Chatti per l’informazione.