Arqueología y Territorio Medieval 29, 2022. e6798. I.S.S.N.: 1134-3184 DOI: 10.17561/aytm.v29.6798

Paesaggi produttivi della frontiera arabo-bizantina in Sicilia sud-orientale (IX-XI secolo): produzioni ceramiche e dinamiche insediative nell’area di Licodia e Marineo (CT)

Production landscapes of the arab-byzantine frontier in south-eastern Sicily (9th-11th Century): pottery productions and settlement dynamics in the Licodia–Marineo area

Michelangelo Messina*

Recibido: 1/02/22
Aprobado: 14/06/22
Publicado: 28/10/22

ASTRATTO

La Sicilia dei secoli IX-XI ha rappresentato un terreno di confronto tra due principali imperi altomedievali, Bisanzio ed Islam. Questa durevole situazione di frontiera ha significato, per il territorio isolano e per gli individui che vi dimoravano o vi passavano, un continuo aggiornamento dei punti di riferimento sociali, economici, politici, geografici, capace di impattare nel breve periodo il quadro dei paesaggi produttivi, delle dinamiche insediative e della cultura materiale. In questa sede si vuole seguire questo processo attraverso la ricostruzione dei technoscapes delle produzioni ceramiche nel divenire storico di questi secoli, in particolare presentando i dati archeometrici preliminari di un caso-studio della Sicilia sud-orientale.

Parole chiave: Frontiera arabo-bizantina, Archeologia Islamica, Ceramica Islamica, Archeologia Bizantina, Ceramica Bizantina, Sicilia altomedievale.

ABSTRACT

Sicily in the 9th-11th centuries was a field of confrontation between two main early medieval empires, Byzantium and Islam. For the island's territory and for the people who lived there or passed through it, this long-lasting frontier status meant a continuous updating of the social, economic, political, and geographical points of reference, which could have an impact in the short term on the framework of productive landscapes, settlement dynamics and material culture. The purpose of this paper is to follow this process through the reconstruction of the technoscapes of ceramic production in the historical developments of these centuries, by presenting the preliminary archaeometric data of a case study of south-eastern Sicily.

Keywords: Arab-byzantine Frontier, Islamic Archaeology, Islamic Pottery, Byzantine Archaeology, Byzantine Pottery, Early Medieval Sicily.

INTRODUZIONE

Questo contributo si inquadra nell’ambito di una ricerca dottorale1 sull’analisi dei paesaggi produttivi e insediativi nella Sicilia orientale tra i secoli IX e XI. Nel periodo in questione, l’isola ha rappresentato un importante terreno di confronto tra i due principali poteri a pretesa universale del Mediterraneo altomedievale, l’impero bizantino e il califfato islamico2: una dimensione limitanea mediterranea dai risvolti scientifici importanti nella comprensione degli sviluppi microregionali (Horden, Purcell 2000, Asa Eger 2019).

Per questo progetto si sta lavorando ad un approccio multidisciplinare allo studio della cultura materiale, che unisca l’analisi archeologica dei contesti, la caratterizzazione archeometrica dei manufatti e la ricerca filologica su azioni e dinamiche sociali testimoniate dalle fonti scritte, mirando alla contestualizzazione di tutta la “vita sociale” dei manufatti (Appadurai 1986, Peroni 1998, Giannichedda 2016): l’obiettivo diventa dunque la ricostruzione dei mutamenti interni all’habitus degli abitanti dell’isola che coinvolgono i paesaggi produttivi analizzati, “arene” di quei processi di socializzazione3 in cui si sono confrontati i mondi sociali nella diacronia di questa frontiera.

Oggetto di studio in questo caso specifico è una serie di contesti dell’area degli Iblei nord-occidentali: si tratta di un’area di grande rilevanza anche in relazione alla sua posizione geografica alle spalle di Siracusa, capitale del thema bizantino fino alla sua caduta in mano islamica nell’878. Essa è attraversata da una serie di assi viari articolata su una doppia viabilità portante: in senso nord-sud, percorsi antichi e riferimenti naturali collegano il distretto di sud-est dell’isola con l’area della Piana di Catania a nord, mentre una importante trasversale sud-ovest/ nord- est collega Siracusa e l’area degli Iblei con i territori collinari e pianeggianti della Sicilia centro meridionale4. Un territorio, dunque, che per le sue caratteristiche risente fortemente dei basculamenti della frontiera: nel corso della seconda metà del IX secolo, con la caduta di Ragusa, Modica e Scicli e poi di Siracusa nell’8785 (fig. 1), quest’area è coinvolta in un processo di profondo riassetto economico e produttivo che l’indagine archeologica può contribuire a chiarire.

Fig. 1. Lo smantellamento del sistema siracusano (Sicilia sud-orientale, 827-878 d.C.)

In questo lavoro ci si propone dunque di perseguire due obiettivi distinti ma concorrenti: l’analisi dei contesti databili fra la fine dell’VIII e l’XI secolo nell’area d’indagine selezionata, con un approfondimento sulle produzioni ceramiche caratterizzate archeometricamente6 che possa concorrere alla diffusione di dati sui singoli areali produttivi isolani; una volta analizzati i contesti archeologici principali, si proporrà una contestualizzazione storico-insediativa delle dinamiche insediative registrate in questo territorio per il periodo in questione, inserendone le evidenze materiali in una prospettiva più ampia che analizzi le problematiche storiche, socioeconomiche e territoriali dell’occupazione di un territorio di frontiera.

IL QUADRO PRODUTTIVO ED INSEDIATIVO NELLE PROPAGGINI NORD-OCCIDENTALI DEGLI IBLEI

Il territorio compreso tra Licodia, Marineo e Vizzini si caratterizza topograficamente come un’area che, attraverso una serie di assi viari e di riferimenti idrografici e orografici, garantiva l’accesso da nord, da ovest e da sud-ovest al comprensorio ibleo7: tanto dal sito di Marineo, quanto dal castello di Licodia, si domina un vasto territorio pianeggiante, rappresentato geologicamente dalla Falda di Gela che separa i depositi sinorogenetici dell’area ennese, nissena ed agrigentina dall’Avanpaese ibleo, il cui limite occidentale in quest’area è rappresentato dal lungo Vallone Mangalavite (figg. 2-3); lungo questa depressione geologica corre il fiume Dirillo, il wādī Ikrīlū di al-Idrīsī (XII secolo), la cui descrizione del corso è molto suggestiva proprio per il significativo rapporto che il fiume garantiva con l’area del Golfo di Gela (Idrīsī 1999, p. 331, infra).

Fig. 2. Siti e contrade citate nel testo (tavolette IGM Licodia-Vizzini-Stazione Vizzini-Grammichele): la croce azzurra indica le aree con materiali di età bizantina; la mezzaluna rossa le attestazioni di età islamica

Fig. 3. Panorama sud-occidentale dal pianoro sommitale di Marineo, verso Butera (al centro)

Per quanto concerne l’attestazione di fasi post-classiche da questo comprensorio, al momento è stato evidenziato un cospicuo quantitativo di siti rupestri e di strutture databili ad epoca paleocristiana e protobizantina: trattandosi di siti religiosi e funerari, Elisa Bonacini ha proposto di inquadrare tutte queste evidenze come pertinenti ad un vicus imperniato sulle viabilità principali (Bonacini 2008): come vedremo di seguito, sulla base del materiale archeologico conservato al Museo Civico di Licodia Eubea8 è stato possibile ipotizzare, per alcuni di questi siti, una continuità o una rioccupazione di periodo medio-bizantino piuttosto importante, impostatasi tanto nell’area oggi occupata dal paese, quanto nel territorio, in linea con il trend insediativo finora delineato sulla base della diffusione degli indicatori di VIII-IX secolo in Sicilia sud-orientale (Arcifa 2018,2019, Arcifa, Nef, Prigent 2021; fig. 4).

Fig. 4. Distribuzione dei principali indicatori archeologici della Sicilia medio-bizantina (prima metà IX secolo), modificata da Arcifa, Nef, Prigent c.d.s.

Particolarmente interessanti risultano le abbondanti attestazioni provenienti da Licodia, in una serie di interventi effettuati nella principale area di espansione urbana del paese, che ha visto moltiplicarsi gli interventi di sorveglianza archeologica negli anni Ottanta-Novanta: trattandosi di sondaggi di emergenza effettuati durante la costruzione di edifici privati in via San Pietro, via Capuana e di contrada Donnanna (Tomasello 1988-89, Patanè 2005, p. 132), non si può escludere che l’area effettivamente frequentata fosse più vasta e che coinvolgesse le aree sommitali dominate, oggi, dal castello medievale. Per quanto concerne l’occupazione dell’area rurale che scende verso il vallone, significativa è la registrazione di questa fase nell’area della cella trichora di contrada Pirrone (fig. 5), la quale si imposta su un guado antico su un “Fiumicello” – nome della contrada – che consentiva l’accesso all’area sommitale di Licodia9.

Fig. 5. Planimetria della chiesa a cella tricora di Contrada Pirrone (Bonacini 2008)

Per le riflessioni sulla fase islamica nel territorio, fondamentali si sono rivelati i ritrovamenti all’interno della Grotta 2 nel complesso rupestre di contrada Marineo: le grotte naturali ivi attestate, particolarmente importanti per la preistoria isolana, sembrano essere state in tutto o in parte rioccupate in età altomedievale, come dimostrerebbero i numerosi tagli artificiali, lo scavo di silos ed i successivi riempimenti che hanno interessato, appunto, la Grotta 2 (Consoli 1988-89, Tomaselli 1988-89, Palio, Turco 2018). L’insediamento in grotta ricavato nel costone, sul quale oggi insiste un rigoglioso bosco di Eucalipti del demanio forestale, è stato indagato probabilmente solo in parte, ed alcune evidenze sono state segnalate anche sul pianoro sovrastante10. Dall’interno delle grotte attualmente indagate provengono, oltre a materiali medio-bizantini, una serie di manufatti che testimoniano una frequentazione dell’area tra la prima età islamica (decenni centrali X secolo), la tarda età islamica-prima età normanna (seconda metà XI-inizi XII secolo) ed il XVII secolo (carta di distribuzione, fig. 2).

Come si avrà modo di valutare leggendo, le indagini archeologiche in questi siti, effettuate tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta, non sono state condotte con metodo stratigrafico: ne risulta una documentazione grafica e fotografica molto scarna e – quando disponibili – pochissimi dati sulle stratigrafie indagate. Tuttavia, l’analisi archeologica ed archeometrica delle produzioni ceramiche, unitamente ad una contestualizzazione paesaggistica delle evidenze, ha fornito degli interessanti spunti di riflessione, sui quali ci soffermeremo di seguito: in particolare, dopo una valutazione generale dei contesti del periodo medio-bizantino e delle evidenze dei due periodi successivi, ci soffermeremo sulla valutazione dell’azione di riempimento del “silo 1” all’interno della Grotta 2 di Marineo, verosimilmente interpretabile come un unico scarico di fornace molto consistente appositamente utilizzato per colmare la fossa granaria; di quest’ultima azione verrà proposta una contestualizzazione della “vita sociale” di questo scarico basata sull’analisi del processo produttivo e sulla successiva scelta del luogo di smaltimento del materiale di scarto, al fine di valutarne il potenziale informativo nelle riflessioni storico-insediative proposte in conclusione.

I CONTESTI E LE PRODUZIONI DI ETÀ BIZANTINA NELL’AREA DI LICODIA EUBEA

Come si è detto, lo stato delle conoscenze su centri produttivi e fossili-guida del periodo medio-bizantino in Sicilia orientale è sicuramente in rapido avanzamento, grazie anche alle diverse ricerche in corso sulla materia. Ciononostante, soprattutto sul piano archeometrico mancano degli aspetti fondamentali per una migliore comprensione dei processi produttivi ed areali di produzione: la più importante carenza sotto questo punto di vista è la mancata caratterizzazione archeometrica delle produzioni ceramiche medio-bizantine di Siracusa e del suo vasto territorio, al momento documentate purtroppo solo sul piano cronotipologico in alcuni contesti urbani (Cacciaguerra 2018, 2020). Comprendere la distribuzione dei tipi prodotti nella capitale del thema rappresenta al momento un bisogno impellente per la ricerca, soprattutto per la ricostruzione di eventuali gerarchie di siti produttivi imperniate sul suo sistema socioeconomico.

Questa mancanza si ripercuote, oltreché sulla Sicilia medio-bizantina tutta, anche sulla comprensione delle evidenze medio-bizantine dal territorio di Licodia Eubea. Per questa fase, i dati risultano al momento alquanto dispersivi e frammentari, tuttavia le prime produzioni registrate in un sito campione – lo scavo presso la proprietà Calabrini in zona San Pietro, nell’area ad urbanizzazione recente di Licodia Eubea (fig. 2) – testimoniano una certa varietà nei paesaggi produttivi di riferimento tra il tardo VIII e la prima metà del IX secolo11.

In particolare, nonostante lo scarso campione prelevato e l’esiguità del contesto, le produzioni di forme chiuse di dimensioni medio-grandi, medie e medio-piccole si sono rivelate appartenenti a tre fabric differenti (Tav. I., schede di fabric LIC-F, G, L, fig. 6, Tab. 1):

Tav. I. I fabric di età bizantina registrati nei contesti del territorio di Licodia e Marineo

Fig. 6. a) Le produzioni tornite mediobizantine (fabric LIC-F,G,L); b) L’anfora di tipo siciliano LSPPCDep.5/1

Tab. 1. Il contesto della “Deposizione 5” di via San Pietro-Proprietà Calabrini (Licodia Eubea, frr. 161; NMI 13)

• Il fabric LIC-F risulta, al momento, il più attestato: prodotte con questo fabric risultano due anfore di tipo siciliano con ansa a solcatura mediana12, di cui una parzialmente ricostruibile (LSPPCDep.5/1,5, campioni LIC-21,22), nonché una brocchetta frammentaria a fondo piano (LSPPCDep.5/2, campione LIC-23) che rappresenta una variante più cotta dello stesso impasto. Le caratteristiche petrografiche rimandano ad un areale di provenienza posizionabile tra gli Iblei settentrionali ed il Calatino13.

• Con il fabric LIC-G sono prodotte due brocchette a collo stretto (LSPPCDep.5/2,3), la cui produzione è inquadrabile, pur con la necessità di corroborare l’evidenza con altri tipi di dati, in un vasto areale compreso tra la Piana di Gela e gli Erei meridionali14.

• Infine, l’unica brocchetta con ingobbio chiaro in fabric LIC-L, caratterizzato da una matrice più simile a produzioni della Piana di Catania, un areale compreso tra Mineo, Lentini e Catania15. Pur essendo necessario ampliare ulteriormente la campionatura e ribadendo la necessità di dover ritornare su questi dati una volta caratterizzate le produzioni siracusane coeve16, questo quadro sulle produzioni microregionali restituisce un areale di approvvigionamento che ricalca le relazioni paesaggistiche e topografiche evidenziate per questo comprensorio (supra).

Per quanto riguarda le produzioni di olle tipo Rocchicella, sono stati analizzati due campioni rivelatisi molto simili tra loro sul piano petrografico17 (Tav. I.4-5 fig. 7), sulle cui differenze può essere utile soffermarsi brevemente per una semplice considerazione di tipo produttivo su questo tipo di manufatti plasmati a mano. I due campioni, provenienti l’uno dal contesto di Licodia, l’altro dal silo 2 delle Grotte di Marineo (infra), sono entrambi caratterizzati da una matrice carbonatica (più cotta nel campione LIC24) e dalla presenza di calcite spatica a granulometria da grossolana a molto grossolana18, differenziandosi essenzialmente per due componenti grossolane meno diffuse, probabilmente legata ad una possibile variabilità nella scelta degli inerti accessori per queste produzioni plasmate a mano: il campione LIC17 presenta anche della chamotte di vasi cotti in atmosfera riducente, queste ultime presenti anche nel campione LIC24 dove risulta attestato anche un incluso vulcanico.

Fig. 7. Olle tipo Rocchicella dal territorio di Licodia; b) olla dal riempimento del silo 2

Il fabric LIC-I è rappresentato da tre frammenti di pareti di anfore globulari (delle quali pertinente alla parte obliqua che verte al fondo concavo-convesso), probabilmente riconducibili a due individui (scheda fabric LIC-I, Tav. I.6, fig. 8): petrograficamente associabile ad un altro esemplare di anfora globulare proveniente dal sito di contrada Edera (Bronte, CT, Messina 2020b, fabric I), per questo fabric si può ipotizzare, sulla base dell’attuale conoscenza archeometrica di questi tipi anforici, un’origine egea19. L’attestazione di questi anforacei, che si inquadra entro un modo di circolazione delle merci nel Mediterraneo bizantino dei secoli VIII-IX oggetto di numerosi studi recenti (Poulou-Papadimitriou 2017, Arthur 2018), inserisce Licodia entro un sistema di riferimento mediterraneo ben preciso, che vede nella capitale del thema Siracusa un vettore di prodotti dalle parti più orientali dell’Impero (Cacciaguerra 2018, 2020), le cui dinamiche sociali ed economiche – non approfondibili in questa sede – sono tuttora molto dibattute (Arcifa 2019, Cosentino 2019).

Fig. 8. Frammenti di anfore globulari di probabile importazione egea

LA GROTTA 2 DI MARINEO E LE DUE FASI DI METÀ X SECOLO E SECONDA METÀ XI-INIZI XII SECOLO

La documentazione dell’indagine archeologica della Grotta 2 di Marineo (figg. 9-11), effettuata nel 1989 col fine di rintracciare le evidenze preistoriche già emerse nelle altre grotte (Tomasello 1988-89, Consoli 1988-89), purtroppo non è affatto copiosa: oltre a non disporre di materiale grafico e fotografico che consenta di riposizionare ciò che, durante lo scavo, è stato definito ‘silo 1’, ‘silo 2’ e ‘Buca A’, l’indagine non è stata eseguita con metodo stratigrafico. In particolare, la ‘ripulitura superficiale’ della grotta ha restituito materiale piuttosto eterogeneo: oltre a materiali che attestano frequentazioni altomedievali e di età normanna (infra), si registrano alcuni individui di maioliche databili al XVII secolo. Una prima analisi delle produzioni attestate ed in particolare il focus sulle probabili modalità di formazione del contesto del silo 1 possono fornire un valido apporto alla lettura delle diverse fasi registrate.

Fig. 9. La Grotta 2 di Marineo

Fig. 10-11. I due silos rinvenuti dentro la grotta

I tre riempimenti delle escavazioni sono stati scavati in seguito a questa “ripulitura superficiale”.

Nel complesso delle evidenze, i materiali di periodo medio-bizantino risultano complessivamente poco numerosi, attestati soltanto da materiali residuali in tutti i contesti: è possibile segnalare, oltre alla presenza del tipo Rocchicella analizzata (supra), alcune olle tipo Santa Caterina 2 (Cacciaguerra 2020, pp. 56-61, fig. 2), nonché sporadici frammenti di pareti in fabric LIC-F (2 frammenti nel riempimento del silo 1), analizzati per il contesto di Licodia: tale evidenza potrebbe testimoniare una frequentazione della grotta lievemente più alta rispetto a quanto visto nel contesto di Licodia, nel corso dell’VIII fino alla prima metà del IX secolo (fig. 15).

Per la comprensione delle fasi della prima età islamica, è risultato fondamentale il riempimento del silo 1, databile probabilmente entro la metà del X secolo, che rappresenta anche il più grosso lotto di materiale rinvenuto nella grotta (frr. 1201, NMI 88). L’evidenza stratigrafica – strato di terra frammista a “grandi quantità di cenere”, come riportato dall’archeologo nel diario di scavo – ed i dati materiali che saranno presentati di seguito, rendono l’interpretazione dell’azione piuttosto sicura: si tratta di un coerentissimo scarico di un’infornata di vasi non cotti a sufficienza, per un evento che ha reso inutilizzabile l’intero lotto (Tav. III). Il materiale è risultato infatti quasi del tutto (Tab. 2) attribuibile ad un’unica produzione – il fabric LIC-A – attestata in differenti varianti cromatiche legate alla cottura eterogenea del lotto in fornace. Le caratteristiche minero-petrografiche e fisiche della quasi totalità di questi manufatti collimano con un dato stratigrafico altrimenti insufficiente, e suggeriscono l’interpretazione come scarico di ceramica poco consolidata in cottura. L’analisi minero-petrografica dei manufatti che lo compongono (scheda Fabric LIC-A, Tav. II.1-3) ha consentito di riconoscervi una produzione da un’area produttiva non distante, della quale si può sottolineare un unico dato particolarmente significativo, ovvero l’attestazione di alcuni inclusi di natura vulcanica peculiari del territorio in questione nella frazione fine del sedimento argilloso selezionato: si tratta di frammenti di vetro vulcanico mafico pertinente alle palagoniti dell’area degli Iblei settentrionali, affioranti anche nell’area di Stazione Vizzini-Scalo (Stroncik, Schmincke 2001); inoltre, questi tratti petrografici sono confrontabili con le produzioni preistoriche rinvenute nello stesso sito (Tanasi, Barone, Mazzoleni 2013), nonché con i fabric LIC-B e LIC-D di pentole plasmate rispettivamente a cercine (LIC-B) e a mano con cordone applicato (LIC-D), quest’ultima registrata tra i materiali di età normanna della “Buca A” (schede Fabric LIC-B, D, Tav. II.5-6, infra).

Tab. 2. Il riempimento del silo 1 per numero di frammenti (1201) e di individui minimi (88)

Tav. II. I fabric dei materiali di X-inizi XII secolo registrati nei contesti della Grotta 2 di Marineo

Fabric LIC-A - Scarico di fornace

Tav. III.1. Anforacei prodotti con la fabric LIC-A, Grotte di Marineo: 1. Anfore confrontabili con il tipo palermitano Sacco 6.1/Carini IV; 2. Anforette simili al Tipo Sacco 2.1; 3. Anfore di medie dimensioni simili al tipo Sacco 4.1 ed alle produzioni in Fabric A2 da Paternò; 5. Altri orli; 6. Fondi di anfore e forme chiuse non identificate

Tav. III.2. Coppe, tazze, boccali e bruciaprofumi in fabric LIC-A

Al dato petrografico si possono associare le proprietà fisiche dei frammenti, per la maggior parte dei quali si registra un corpo ceramico poco o per niente compatto, con scarsissima resistenza agli urti – il grande numero di frammenti del contesto è in parte legato a questa caratteristica – ed una consistenza pulverulenta e saponosa al tatto, nonché un suono sordo alla percussione20. Cromaticamente si sono distinte quattro varianti, che consentono di ricostruire la curva cromatografica di un’argilla che, da un colore bruno-giallino del quasi crudo che si riscontra nelle pareti più spesse, vira verso il giallo chiaro quando poco cotta, tra arancio chiaro e rosso-arancio quando mediamente cotte, per poi diventare di un bianco grigiastro se ben consolidate (Tav. IV). Questo dato è riscontrabile anche nelle sezioni sottili, dove le varianti gialline sono quelle con i microfossili maggiormente preservati nella pasta di fondo (Tav. II.1-2,4).

Tav. IV. Selezione di materiali dallo scarico di fornace in fabric LIC-A. 1-3: Anforacei dipinti a bande; 4 - Forme aperte (coppe carenate ed a pareti svasate); 5 - Tazzona o boccale con corpo globulare; 6 - Pareti e filtri decorati ad incisione e a traforo, pertinenti a forme chiuse non identificate (bruciaprofumi?)

Il carico di questa infornata andata a male risulta molto composito sul piano delle tipologie morfologiche attestate, quasi tutte con confronti stringenti con le produzioni siciliane e soprattutto palermitane di età islamica. Per quanto concerne i tipi anforici, è necessario specificare che, allo stato attuale delle conoscenze sulle produzioni ceramiche di età islamica, i diversi tipi hanno spesso produzioni nel lungo periodo, che dalla fine del IX secolo possono giungere anche all’avanzato X se non alla prima metà dell’XI secolo (Sacco 2018): cionondimeno, l’evidenza più significativa e comunemente accettata soprattutto sulle produzioni anforiche dipinte è la cronologia relativamente alta dei motivi sinusoidali, che in questo contesto risultano l’unica decorazione attestata (Tav. IV). Data questa evidenza, crediamo che per la produzione di questo lotto e dunque per la datazione dell’azione del riempimento di questo silo si possa proporre un periodo che non vada oltre la metà del X secolo21. In questa prospettiva, cercheremo dunque di inquadrare i quattro gruppi principali registrati che si inseriscono nell’ambito delle principali produzioni di ceramica dipinta registrate attualmente a partire dalle prime fasi di età islamica attualmente note (Tav. III.1): i tre orli del Gruppo 1 dovevano essere pertinenti probabilmente ad anfore di medie dimensioni confrontabili con il tipo con “orlo a tulipano”, prodotto per tutto il X fino ad almeno la prima metà dell’XI secolo, e per il quale si registra una certa diffusione interna ed esterna all’isola (tipo Sacco 6.1/Carini IV22); il Gruppo 2 rappresenta un tipo di anforetta o “bottiglia” a collo stretto confrontabile con il Tipo D’Angelo B1/B2-Sacco 2.1, registrata anche in contesti databili entro il X secolo, nonché in diversi siti siciliani e mediterranei23; le anfore di medie dimensioni del gruppo 3 sono caratterizzate da un orlo semplice o lievemente ingrossato all’interno, talora con scanalatura incisa all’esterno sotto l’orlo, e si tratta di un tipo prodotto a lungo nel corso dell’età islamica24; le anfore medio-grandi a bocca larga del gruppo 4, confrontabili con le anfore Faccenna C e forse destinate al trasporto di prodotti semisolidi, sebbene i confronti morfologici più stringenti vengano da esemplari rinvenuti in altri centri siciliani e in Ifriqiya25.

Tra i tipi attestati in pochi o singoli esemplari, l’anforetta con collo a pareti lievemente svasate trova confronti in esemplari palermitani a partire dai contesti di fine IX-prima metà X secolo26. lo stato molto frammentario degli individui non ha consentito invece di ricostruire esemplari con fondi pertinenti: le anfore risultano comunque quasi tutte caratterizzate da un fondo umbonato con una scanalatura all’inizio della parete, un tratto morfologico comune alle produzioni medio-bizantine della Sicilia orientale come alle prime produzioni di età islamica in Sicilia occidentale27.

Tra le forme aperte (Tav. III.2), si registrano esemplari acromi di coppe a pareti svasate e di coppe carenate con orlo arrotondato, inquadrabili anch’essi entro produzioni delle fasi islamiche più antiche: se le coppe carenate trovano confronti stringenti con altri prodotti non invetriati28, entrambi i tipi morfologici ricordano molto da vicino anche le due forme principali del “Giallo di Palermo”29.

Concludono il carico due boccali monoansati acromi, quattro tazze – di cui una dipinta – e quattro esemplari dalla forma, al momento, originale: si tratta di piccoli vasi con filtro che presentano delle decorazioni traforate anche nelle pareti verticali del vaso, mentre alla parte globulare del corpo era probabilmente applicato un beccuccio cilindrico laterale (Tav. III.2, IV.4-6). Non essendovi tracce d’uso in questi manufatti, non è possibile capirne la funzione: delle pareti filtranti lateralmente non avrebbero tuttavia una grande utilità nel filtraggio dei liquidi, per cui si potrebbe proporre l’ipotesi, tanto suggestiva quanto incerta, che fossero bruciaprofumi.

Come si è potuto vedere, il quadro cronotipologico di questo scarico è piuttosto articolato, e non è facile proporre una datazione. Tuttavia, a suggerire di rimanere comunque entro una datazione alta di questo fatto storico produttivo30 è il dato dei motivi decorativi della ceramica dipinta: ove se ne sia conservata una traccia chiara, le anfore mostrano sempre una decorazione a tratti sinusoidali (Tav. IV.1-3), un dato cronotipologico ritenuto piuttosto affidabile nelle datazioni di contesti compresi tra la fine del IX e la prima metà del X secolo (Arcifa, Bagnera 2014, Ardizzone, Pezzini, Sacco 2014, Sacco 2018). Sulla base di queste evidenze cronotipologiche, si può prudentemente proporre una datazione per il riempimento del silo 1 intorno alla metà del X secolo. Non contrasta con questa proposta di datazione anche il singolo individuo di olla plasmata a cercine con orlo appiattito: un tipo che a Palermo circola in produzioni prodotte con argille del Flysch Numidico31, mentre in questo contesto ha una matrice in tutto simile a quella del fabric LIC-A, ma con l’aggiunta di chamotte (scheda fabric LIC-B, TAV. II.5, fig. 12).

Fig. 12. L’olla con orlo appiattito in fabric LIC-B

Prima di soffermarci ulteriormente sull’interpretazione di questo riempimento, si possono citare con poche parole gli altri due contesti. Il silo 2 è costituito da un quantitativo di materiale molto meno consistente32, da cui vengono, oltre ad alcuni individui sempre pertinenti al fabric LIC-A, qualche altro residuale di età bizantina delle tipologie esposte (fig. 13). In una terza escavazione nel calcare, documentata come “Buca A” per la forma irregolare rispetto ai due silos, si è rinvenuto, oltre alle produzioni più antiche registrate come residuali, un totale di sei individui che probabilmente datano una sporadica frequentazione della grotta in età normanna, interpretabile forse come un butto (fig. 14): in particolare, si registra il fabric LIC-E rappresentato da due coppe a profilo emisferico con decorazione policroma sotto vetrina, una con vetrina verde, l’altra con vetrina trasparente (Fabric LIC-E, Tav. II.7-8), agevolmente confrontabili con le produzioni datate tra la seconda metà dell’XI e gli inizi del XII secolo33; una produzione di pentole plasmate a mano con decorazione a cordone applicato e prese ad orecchia34 (Fabric LIC-D), la quale – come si è detto – si è rivelata particolarmente utile per le sue caratteristiche petrografiche, che consentono di individuare probabilmente il più prossimo sedimento argilloso – confrontabile con quello del fabric LIC-A – nelle vicinanze grazie all’attestazione delle ialoclastiti con palagoniti come inerte aggiunto (Tav. II.6); a questi si aggiungono due prodotti schiariti – un’anfora e ad un vaso con setto a filtro – di cui al momento non è stato possibile caratterizzare i corpi ceramici.

Fig. 13. I materiali dal silo 2

Fig. 14. I materiali dalla “Buca A”

Si tratta purtroppo di dati attualmente parziali, basati essenzialmente sulla schedatura integrale del riempimento del silo 1 e su una registrazione attualmente sommaria degli altri contesti, che potrebbero essere stati compromessi durante lo scavo (silos 2, Buca A, Ripulitura Superficiale). Anche la datazione delle escavazioni delle stesse fosse granarie rimangono incerte: sicuramente, il riempimento del silo 1 costituisce un affidabile terminus ante quem, tuttavia la mancanza di dati tecnici su questa fossa granaria, non essendoci una documentazione di scavo adeguata, non consente di apprezzarne nemmeno la tipologia (Alfano, D’Amico 2016).

Tuttavia, nell’attesa che si possa completare la documentazione di tutte le produzioni più tarde, nel prossimo paragrafo si propone una riflessione più specifica sulla serie di fatti storici relativi alla produzione in Fabric LIC-A rinvenuta nel silo 1 e sulle questioni socioeconomiche che solleva: valorizzando un dato epigrafico rinvenuto su un’anfora frammentaria, si propone una riflessione su quale possa essere stata la vita sociale di questo scarico di fornace, le cui implicazioni nella storia del paesaggio produttivo della zona possono rivelarsi molto significative nella ricostruzione storico-paesaggistica del contesto. Crediamo infatti che l’intera storia di questa produzione – dalla datazione relativamente alta per contesti della Sicilia orientale – attestino un profondo cambiamento nella percezione paesaggistica dell’area.

PER LA VITA SOCIALE DELLO SCARICO DI FORNACE NEL SILO 1: L’ISCRIZIONE A CRUDO SULL’ANFORA MAR89GR2SL1/54

Su una delle pareti di anforacei poco cotti dello scarico di fornace nel silo 1, probabilmente pertinente ad un’anfora del gruppo 4, è stata individuata un’iscrizione parziale (fig. 15), incisa sul vaso essiccato allo stato cuoio, non cotto: il ductus calligrafico è ben inciso e marcato, le lettere ben fatte e comprensibili, senza le imperfezioni dovute alla pressione eccessiva che si sarebbe dovuta esercitare su un vaso cotto, come nel caso della “firma” di ‘Abd Allāh al-Asad (?) su una delle anfore recuperate dalle acque di Mondello35; la precisione e la sicurezza nell’incisione si avvicinano piuttosto a quelle dell’epigrafe su un qādūs36 rinvenuto a Segesta, scritta in fase di produzione perché probabilmente commissionata al momento della manifestazione del suo bisogno in un cantiere di costruzione o riparazione37.

Fig. 15. a) L’anfora MARGR2SL1/54; b) il dettaglio dell’iscrizione in arabo

Data la consueta assenza dei punti diacritici, per questa iscrizione si possono fornire almeno due interpretazioni plausibili:

a) La prima ipotesi è di tipo contenutistico, ovvero il termine ğulṭa (جلطة) interpretabile come “latte cagliato”38. Si tratta di un’ipotesi molto suggestiva sul piano storico-insediativo: qualora fosse valida, rappresenterebbe l’attestazione di un contenitore prodotto per far circolare un semilavorato delle produzioni casearie. Data l’importanza ricoperta dal formaggio nel quadro socioeconomico della parte orientale dell’isola restituitoci dalle lettere della Geniza del Cairo, affiancato al commercio delle pelli per cui è nota l’area di Siracusa (Goitein 1971, Nef 2007), questa epigrafe rappresenterebbe un’interessante traccia di una vocazione agro-pastorale che sembra particolarmente forte per questi paesaggi in età islamica (infra).

b) L’altro possibile significato è quello di ḫulṭa (خلطة), termine complesso che rimanda al concetto generale di “mescolare”, ma che in questo contesto, più che ad un significato contenutistico, si potrebbe collegare anche ad una possibile “joint-active partnership” tra agenti sociali coinvolti nel processo produttivo: termine piuttosto comune nel “jargon” dei commercianti giudeo-arabi della Geniza, esso rappresenterebbe appunto una “joint-active partnership in which merchants pooled their capital (the world khulṭa refers to the mixing of moneys), and at the end of the venture each received returns (or losses) in proportion to his share of the initial investment. ‘Joint-active’ meant each partner had full authority to act upon the goods, and shared unlimited financial liability for any losses” (Goldberg 2012, p. 15).

Diverse sono le interpretazioni contestuali plausibili per questa seconda ipotesi, a seconda degli agenti sociali coinvolti nel rapporto di produzione. Tra queste potrebbero esserci: a) accordo tra artigiani della ceramica per limitare il carico delle spese associate alla produzione e/o il rischio alla cottura dei manufatti (materie prime, combustibile, pagamento del fornaciaio, eventuale uso di un’infrastruttura di proprietà terza, etc.); b) accordo tra artigiano e committenti (carico molto composito): la produzione del carico prevede la condivisione del rischio di cottura tra l’artigiano stesso e chi gli ha commissionato almeno una parte dei manufatti (i.e. i contenitori?); c) accordo tra committenti-mercanti che, per una plausibile attività agricola nei dintorni, commissionano agli artigiani di produrre contenitori per un’attività a condivisione di costi e benefici (tra i quali vi è dunque anche quella di imbottigliare il loro prodotto) presso un’officina/area di produzione della ceramica. Tutte le diverse interpretazioni contestuali del termine ḫulṭa rimanderebbero ad un rapporto tra agenti sociali che, per la percezione dell’alea associata alla cottura dei vasi, avrebbero risposto con uno strumento che avrebbe garantito loro la possibilità di condividerne spese, rischi e – ma non è questo il caso – profitti39.

Quale che sia la giusta interpretazione di questa iscrizione, l’analisi di questa traccia di un fatto storico produttivo ci consente di riflettere su una possibile ricostruzione di tutte le fasi della vita sociale di questo scarico:

i)la manifestazione dei bisogni socioeconomici che hanno interrogato un paesaggio produttivo in zona, ad un’altezza cronologica attualmente poco nota cronologicamente nel territorio (infra), ma che sulla base dei confronti cronotipologici proposti si discosta di circa un secolo dalla fase precedente (fine VIII-prima metà IX secolo);

ii)Materializzazione dei bisogni socio-economici ed articolazione del processo produttivo in seguito ad un accordo simbolico (tacito, orale o scritto che fosse) tra produttori e committenti, con morfologie che mostrano una variazione piuttosto consistente dei quadri di riferimento socioeconomici con cui si relazionano i tipi registrati, e dunque della gerarchia di siti in cui si inserisce il suo paesaggio produttivo;

iii) Il fatto accidentale che ha portato alla rovina dell’infornata costringe gli agenti sociali ad un’altra scelta storica simbolicamente molto forte sul piano paesaggistico: a questa mole di materiale si richiede il soddisfacimento di altri due bisogni socioeconomici, ovvero la necessità di vuotare l’area dell’impianto produttivo e la scelta di riempire un silo posto in una grotta precedentemente adibita a deposito per granaglie, sintomo di un profondo cambiamento nella destinazione d’uso dell’ambiente. Sebbene il vuotamento dell’area produttiva e il riempimento del silo non debbano essere necessariamente coevi, sembrerebbe che gli agenti del mondo sociale che hanno richiesto questo processo produttivo percepiscano ormai la “Grotta 2” di Marineo in un modo profondamente diverso dal passato, che non ha più la necessità di stipare granaglie al suo interno, inserendo il sito in una diversa prospettiva paesaggistica e territoriale.

Nell’indagine storica complessiva su questo scarico permane purtroppo un’ultima incognita cui purtroppo, allo stato attuale della ricerca, non si può rispondere con certezza: la collocazione dell’area di produzione. Al momento sfuggono le attestazioni materiali considerabili coeve nelle immediate vicinanze come nel comprensorio analizzato: un possibile insediamento di età islamica si registra probabilmente a valle, nell’area pianeggiante di Grammichele (fig. 2), dove nell’area del Casale medievale di Favara sono stati rinvenuti materiali di età islamica (Gismondo 1986): quest’area era attraversata da quella via Fabaria registrata nel documento di Achi di Bizzini (supra), passante per il bosco di Santo Pietro e diretta verso il Golfo di Gela. Ai pochi dati pubblicati dallo storico locale Luigi Gismondo su questa contrada, si può forse associare anche un lotto di materiali tardoantichi e altomedievali sequestrato a scavatori di frodo in territorio di Grammichele (Tav. V)40: tale lotto conta, oltre a materiali tardoantichi, un’olla tipo Rocchicella, un orlo di anfora con ansa a solcatura mediana in fabric LIC-F, ma soprattutto un certo numero di ceramiche invetriate – sette individui di produzione palermitana (6 forme aperte, 1 bottiglietta)41, una coppa carenata decorata in verde e bruno di provenienza incerta, una forma aperta invetriata monocroma verde ed un’altra pentola cordonata in fabric LIC-D – che ci restituiscono un quadro cronologico compreso fra la seconda metà del X e tutto l’XI secolo42.

Tav. V. Le ceramiche di età bizantina ed islamica (VIII-IX, seconda metà X-prima metà XI secolo) facenti parte del sequestro di materiali dal territorio di Grammichele (contrada Favara?)

LA RIPOLARIZZAZIONE DEI PAESAGGI PRODUTTIVI DELLA SICILIA SUD-ORIENTALE NELLA DIACRONIA DELLA FRONTIERA ARABO-BIZANTINA

La presentazione dei dati archeologici ci ha consentito di delineare una serie di elementi relativi alla distribuzione dell’insediamento ed alle stesse modalità di occupazione dei siti che, nella diacronia, cambiano sensibilmente, e che vorremmo in questa sede valutare in una più ampia prospettiva paesaggistica (fig. 2):

1. Le evidenze di età medio-bizantina (fine VIII-inizi IX secolo) si distribuiscono su siti posti a controllo dell’accesso agli Iblei nord-occidentali così come negli spazi pianeggianti immediatamente prospicienti; inoltre, i silos granari rinvenuti all’interno della Grotta 2 di Marineo sembrerebbero indicare una probabile vocazione cerealicola di questo areale. Per quanto concerne le produzioni ceramiche ivi registrate, esse sembrerebbero testimoniare il pieno inserimento di questo territorio in un sistema socioeconomico mediterraneo che si sta delineando sempre più chiaramente: ad una certa circolazione delle anfore di produzione regionale si associa l’attestazione di contenitori globulari di provenienza egea che fa comprendere il ruolo giocato dalle risorse dell’isola in questo periodo, gestite attraverso la polarizzazione territoriale in direzione di quella metropoli mediterranea che è la Siracusa mediobizantina43.

2. In un periodo compreso tra la metà del IX ed i primi decenni del X secolo, l’area sembrerebbe caratterizzata da una assenza totale di attestazioni;

3. Infine, la sporadicità di attestazioni relative ad una lunga età islamica – attualmente testimoniata dallo scarico di fornace del silo 1 (inizi-metà X secolo), dal lotto di materiali di seconda metà X-prima metà XI secolo proveniente dal casale agricolo posto nell’area pianeggiante di contrada Favara, nonché dai pochi materiali della seconda metà dell’XI-inizi XII secolo rinvenuti nella “Buca A” della Grotta 2 di Marineo – farebbero ipotizzare una frequentazione dell’area poco costante, che non vede attualmente l’occupazione continuativa di un centro principale nelle vicinanze né di insediamenti agricoli specifici; l’area a maggiore continuità d’occupazione, sulla base dei materiali registrati, potrebbe essere proprio quella di contrada Favara (Tav. IV), su cui tuttavia mancano, allo stato attuale, delle ricerche mirate per valutare l’effettiva consistenza dell’insediamento. Le valutazioni sulle modalità con cui i silos della Grotta 2 di Marineo sono stati riempiti sembrerebbero indicare, inoltre, una possibile variazione nella destinazione d’uso dell’ambiente rupestre, non più riservato alla conservazione di granaglie: un’evidenza che potrebbe indicare, pur nella necessità di aggiungere dati e valutazioni paesaggistiche d’altro tipo, un cambiamento nelle modalità di sfruttamento del territorio circostante.

Pur nella consapevolezza della frammentarietà del quadro attualmente analizzato, in questa sede vorremmo provare a valorizzare questi evidenti cambiamenti tanto nelle modalità di occupazione territoriale, quanto contestualmente nei punti di riferimento socioeconomici dimostrati dai loro quadri produttivi nella diacronia. Nei due macroperiodi individuati – fine VIII-prima metà IX secolo, fine IX-XI secolo – si assiste ad un cambiamento qualitativo considerevole dei paesaggi produttivi di riferimento per i siti analizzati, su cui vorremmo soffermarci proponendo una serie di spunti per ricerche future.

L’ipotesi principale per quanto concerne la fase di fine VIII-inizi IX secolo è che l’importanza di Siracusa nel quadro imperiale bizantino abbia reso, a questa altezza cronologica, l’area centro e soprattutto sud-orientale dell’isola un sorta di vasto entroterra strutturato su necessità di controllo territoriale ed approvvigionamento della capitale: su queste gerarchie insediative si sarebbe articolata la prima difesa della Sicilia bizantina in età islamica, con il delinearsi di punti strategici che controllassero i principali snodi di penetrazione verso la capitale del thema44. In questo senso, il ruolo giocato dai siti di questo comprensorio di Licodia potrebbe essere inserito nel sistema dei kastra di Ragusa, Modica e Scicli, posti a controllo dei versanti meridionali dell’altopiano e probabile area di accumulo delle risorse fiscali e granarie in particolare45 – da qui il nome greco οἱ ῥογοί46 dato a Ragusa (Fiorilla, Rizzone, Sammito 2020): una difesa degli Iblei nord-occidentali impostata sul limite del “Vallone Mangalavite”47, controllato probabilmente dalla kudya di Licodia48, consente di dominare paesaggisticamente tanto le aree pianeggianti occidentali verso Caltagirone e Piazza, quanto il vasto litorale dalla Marina di Ragusa al lungomare di Butera49; con quest’ultimo kastron così come con il complesso degli Erei, Licodia è in relazione viaria e visiva.

L’arrivo musulmano sull’isola ed il perno dell’“État de jihād” aghlabita nella testa di ponte di Palermo (831) costituisce l’inizio di un lento ma inesorabile smantellamento di questo sistema socioeconomico: un drenaggio progressivo delle risorse da est verso ovest causato dall’azione quasi annuale delle sarāyā musulmane che avrebbe alla fine portato, dopo diversi decenni e dopo alcune “riconquiste” che ribadiscono il ruolo centrale di questi capisaldi territoriali all’arrivo delle armate bizantine sull’isola a Siracusa, alla conquista dei kastra e di Siracusa stessa50.

La conquista di Siracusa ha un effetto che va ben oltre il singolo evento bellico più o meno distruttivo: contestualmente alla conquista siracusana, Bisanzio reimposta sui themata occidentali di Cefalonia e Langobardia e su Bari in particolare il suo baricentro politico occidentale, consolidando i possedimenti imperiali in Italia meridionale, ma lasciando a sua volta una durevole testa di ponte a Taormina (Nef, Prigent 2013, Noyé 1998a, b). Al contempo, a partire dai decenni finali del IX secolo, il ripopolamento di vaste zone della Sicilia occidentale51 rende Palermo il nuovo fulcro sociale ed economico dell’isola (Ardizzone, Pezzini, Sacco 2015), nonché centro politico di quel sulṭān52 cui è affidata la gestione della “marca di frontiera” (taġr) siciliana. In questo quadro, il declassamento del ruolo di capitale che ha patito Siracusa con la sua conquista nell’87853 rende obsoleta anche la percezione stessa dei ῥογοί (“granai”) imperiali di tutta quest’area, e tutto il nugolo di ġīrān (“grotte”) della Sicilia orientale registrato nelle cronache arabe perde il suo significato paesaggistico in seguito allo smantellamento del sistema che, come tale, l’aveva classificato54.

Gli effetti territoriali di questi fatti storici sono piuttosto evidenti. I dati provenienti dalle ricognizioni in Sicilia orientale mostrano tutti una contrazione piuttosto considerevole delle reti insediative in età islamica55, e ancor più striminziti risultano i dati su frequentazioni tra la fine del IX e la prima metà del X secolo. Tuttavia, un dato che reputiamo importante sottolineare è che, oltre a qualche contesto siracusano (Cacciaguerra 2018, 2020), gli unici manufatti inquadrabili in questa prima fase islamica risultano tutti in relazione a quest’entroterra a ovest degli Iblei e a sud degli Erei (fig. 18): il contesto più consistente è sicuramente la Muculufa, in cui ancora una volta si registrano le fasi medio-bizantine e di prima età islamica (McConnell 1991), il quale rappresenta un sito collinare rientrante probabilmente, insieme a buona parte della Piana di Gela, nel territorio del kastron fortificato di Butera (Fiorilla, Gueli 2020).

Fig. 18. In rosso, siti attualmente noti per la fase mediobizantina avanzata (seconda metà IX-inizi X secolo); in nero, i siti della prima età islamica in Sicilia sud-orientale (fine IX-prima metà X secolo)

Sebbene poco significativa sul piano delle attestazioni (legata anche alla scarsa rappresentatività del materiale edito), nell’area di San Michele di Ganzaria è stata rinvenuta una lucerna a piattello e cupoletta, indicatore piuttosto affidabile per la prima età islamica (Arcifa, Bagnera 2014, Ardizzone, Pezzini, Sacco 2014), proveniente dall’Area della Basilica sul sito di Piano Cannelle (Bonacini 2008b, p. 110 n. 13). Auspicando che vengano pubblicate ulteriori evidenze materiali, credo sia importante sottolineare ancora una volta il posizionamento di questo sito orientale rispetto ai paesaggi e alla viabilità storica siciliana, definita significativamente dagli autori “le trait d’union privilegiato tra la piana di Catania e la piana di Gela, tra la città di Palermo e il Val di Noto e tra i rilievi collinari dell’ennese e la costa meridionale dell’isola” (Martelliano 2008, p. 147).

Tuttavia, questa maglia insediativa attualmente quasi impercettibile sul piano archeologico potrebbe anche ricollegarsi a quel possibile cambio di destinazione della principale vocazione socioeconomica del territorio in età islamica che, valutando anche le modalità di riempimento repentino del silo 1 al momento della prima rioccupazione della Grotta 2 di Marineo, sembrerebbe possibile intravedere anche valorizzando alcuni dati storici su questa parte dell’isola: il primo dato si coglie dalle lettere della Geniza del Cairo, le quali dipingono una Sicilia sud-orientale ed il territorio siracusano in special modo come particolarmente noti per le produzioni di pelli e formaggi ivi diffuse56. Il commercio di beni legati alla pastorizia ed il possesso di capi di bestiame in Sicilia, registrato anche in altissimi ambienti di corte fatimide e kalbita57, potrebbero aver rappresentato un punto di riferimento fondamentale anche per investimenti di capitale economico e sociale in questo preciso settore.

A questo punto è necessario riflettere su quali possano essere state le implicazioni sociali e insediative di un’economia che sia in buona parte votata all’allevamento di transumanza richiesto. Primariamente credo sia importante riflettere pure sul contesto della Sicilia dei primi decenni del X secolo come disegnato nel kitāb fi’at al-amwāl di al-Dāwudī: l’opera sembrerebbe mostrare una “mis en valeur de manière spontanée” del territorio da parte di “personnes qui n’étaient ni les conquérants ni des musulmans”, posti comunque sotto il controllo del sulṭān che mirava a far esportare i prodotti siciliani verso l’Ifrīqiya58: particolarmente interessante risulta, a nostro avviso, la richiesta di alcuni “vecchi abitanti” di Agrigento che, negli anni compresi tra il 902 ed il 937-940, dichiaratisi della “gente dura” (ahl ğalad) in grado di fronteggiare eventuali nemici, chiedono di “essere assegnati” in un posto in cui vivere insieme; richiesta cui il sulṭān risponde inviandoli bi-Saraqūsa, cui sarebbero stati indissolubilmente legati per le generazioni a venire, senza possibilità di avere indietro ciò che possedevano ad Agrigento59.

In un contesto del genere, credo possa essere interessante chiedersi cosa abbia comportato sul piano amministrativo l’eredità territoriale del comprensorio siracusano per un potere insediatosi nell’area occidentale dell’isola: è possibile che quelle grandi proprietà imperiali60, ottenute in seguito allo smantellamento proprio del sistema siracusano, siano state rifunzionalizzate sulla base tanto delle nuove gerarchie insediative – e quindi delle energie umane spendibili in un territorio ormai più marginale – quanto di un rinnovato bisogno socioeconomico espresso nel territorio? È possibile pensare che le terre della piana a nord e ad ovest degli Iblei e a sud-est degli Erei, ormai divenute dei “margi” (fig. 2), abbiano spinto il sulṭān ad assegnare le terre degli ormai inutili granai come dei malğa’ (“rifugi per bestiame”) di supporto nelle tratte di transumanza61? O viceversa, è possibile che le aristocrazie abbiano percepito, in quel paesaggio ormai “ammargiato” ma con un buon circuito di strade per il bestiame, una particolare predisposizione per l’allevamento?

I due aspetti sono, in realtà, probabilmente concorrenti: dipende dalle modalità di assegnazione, dal capitale sociale ed economico di partenza dell’assegnatario e/o nuovo proprietario, tutti aspetti su cui non possiamo ulteriormente approfondire. Sarebbe tuttavia interessante capire se sia questa l’origine del “feudo di Mongialino”, ovvero la malğa’ Ḫalīl di Idrīsī62 oggi in territorio di Mineo (Arcifa 2001), poco più a nord del territorio che abbiamo esaminato e rientrante sempre nella vasta area dei Margi. Gli Iblei e il versante occidentale avrebbero potuto rappresentare un ottimo luogo di passaggio per la transumanza del bestiame, direttamente in relazione con le vaste pianure che si aprono a ovest, paesaggisticamente in relazione con il golfo di Gela e l’entroterra ennese e nisseno; l’area stessa è caratterizzata, sul piano toponomastico, da una certa diffusione del toponimo marğ di origine araba63 e del probabile corrispondente greco ξηρός64, rispettivamente nelle contrade “Margi” e “Sciri” che descrivono tutta l’area ad ovest del vallone Mangalavite: possibili tracce toponomastiche del progressivo processo di ampliamento dei pascoli aridi nella zona, come si è registrato più ad ovest con le analisi paleobotaniche a Philosophiana (Vaccaro, La Torre 2015). A questi percorsi di transumanza si associa la possibilità di relazionarsi con diversi “caricatori” sul litorale meridionale, dove gli aṣḥāb al-marākib (“proprietari di navi da carico”) erano pronti ad immettere sui mercati mediterranei i beni da loro prodotti65.

Qualora questa possibile riconversione socioeconomica avesse avuto effettivamente luogo, sarebbe necessario riflettere su quali fossero gli effettivi risvolti insediativi di un’economia basata sulla specializzazione nel commercio di beni da allevamento, unendo alla riflessione sulla ceramica anche un ragionamento più complesso: da un lato, aumentando la mole di dati disponibile, primi fra tutti quelli archeozoologici che consentano di comprendere le percentuali afferenti alle diverse specie addomesticate (ovicaprini, bovini, suini); dall’altro, sarebbe importante comprendere quale visibilità archeologica abbia una frequentazione stagionale connessa a transumanze di lunga distanza, segno specifico di questa eventuale vocazione socioeconomica soprattutto ovicaprina (Horden & Purcell 2000, p. 352-353). Quello che possiamo attualmente valutare è che, come le nuove tipologie di produzioni ceramiche attestate in questa fase sembrerebbero indicare, chi ha abitato questi territori sembrerebbe comunque inserito in un sistema di riferimento socioeconomico incentrato sul nuovo polo della Sicilia occidentale impostatosi nel corso dell’età islamica tra Palermo ed Agrigento66.

Con lo studio di questo areale si è voluto tentare di valorizzare quali possano essere le potenzialità di un approccio contestuale all’analisi dei paesaggi produttivi, riprendendo le considerazioni “microecologiste” fatte da Peregrin Horden e Nicholas Purcell (2000). Un’analisi microregionale di dinamiche mediterranee può rappresentare un ottimo strumento nella comprensione della storia altomedievale siciliana, la cui complessità è condensata nella definizione di taġr utilizzata dai geografi per l’isola: una categoria geografica che per i mondi sociali islamici e per la Sicilia è socialmente definita dalla sua prossimità con l’arḍ al-Rūm67. Un aspetto che anche quell’ahl ğalad inviato in territorio siracusano tiene bene a mente, consapevole che il loro stanziamento dovesse tenere in conto la possibilità di impegnarsi contro chi, dall’altra parte, propugnava altre gerarchie territoriali, altre “pensées d’Etat”, con altri habitus68.

APPENDICE - SCHEDE PETROGRAFICHE DELLE PRODUZIONI CITATE NEL TESTO

1) Fabric LIC-F (Licodia Eubea, CT)

Breve definizione: Produzione di forme chiuse tornite medio-bizantine, area ibleo-calatina

Fabric petrografica di riferimento*: LIC-F

Campioni analizzati: LIC21 (=LSPPCDep.5/1), LIC22 (=LSPPCDep.5/5), LIC28 (LSPPCDep.5/2, sub-fabric F2, più cotta)

Analisi effettuate: OM

Classi tecnologiche:

Tornita

acroma/ingobbio chiaro

Dec. impressa

Classi funzionali:

Tendenza

Dispensa

Trasporto

Forme e tipi morfologici

Forme chiuse

Anfore tipo siciliano (anse a solcatura mediana)

Brocchetta

Areale di produzione ipotizzabile: Area ibleo-calatina

Siti e percentuali di rinvenimento nei contesti: Grotte di Marineo (Licodia Eubea, CT), Grotta 2, riempimento del Silos 1, 0,5% frammenti (7 su 1314), 2,8% individui (2 su 71). Licodia Eubea, Via s. Pietro-Proprietà Calabrini, Dep. 5., 23,07% individui (3 su 13). Sequestro area Grammichele – Inv. LIC.SEQ.’03/14bis (?)

Inquadramento cronologico: seconda metà VIII-prima metà IX

Bibliografia: inedito, confronti con Vaccaro, La Torre 2015, Testolini 2018

Scheda di fabric (Whitbread 1995 semplificata)

Ratio coarse/fine/voids: 5:90:5.

Orientazione preferenziale: alcuni inclusi paralleli alle pareti del vaso, in direzione della tornitura.

Matrice: fossilifera (foraminiferi prevalentemente bentonici, echinodermi, ostracodi, gusci di bivalve) con abbondante frazione fine quarzosa, mediamente omogenea.

Inclusi: da scarsi a medi (5-20%), granulometria da media a finissima, bene assortiti; quarzo dominante (50-70%, da medio-fine a finissimo, da sub-arrotondato ad angoloso), comuni microfossili (15-30%, da medi a finissimi, forme dipendenti dalla sezione del fossile), molto rari inclusi vulcanici (a tessitura ialopilitica o ialoclastiti con palagonite, <0,5, medio-fini, da sub-arrotondato a sub-angoloso), molto rara calcite micritica (<0,5%, da medio-grossolana a medio-fine, da sub-angolosa a molto angolosa), molto rari feldspati (<0,5%, fini, sub-arrotondati), molto rara biotite (<0,5%, fine, lamellare). Sub-fabric F2: microfossili volatilizzati, orme nella matrice più cotta.

2) Fabric LIC-G (Licodia Eubea, CT)

Breve definizione: Produzioni acrome e ingobbiate medio-bizantine, piana di Gela?

Fabric petrografica di riferimento*: LIC-G

Campioni analizzati: LIC23 (=LSPPCDep.5/4), LIC25 (=LSSPCDep.5/3).

Analisi effettuate: OM

Classi tecnologiche:

Tornita

acroma/ingobbio chiaro

Classi funzionali:

Tendenza

Dispensa

Forme e tipi morfologici

Forme chiuse

Brocchette

Areale di produzione ipotizzabile: Piana di Gela?

Siti e percentuali di rinvenimento nei contesti:

Licodia Eubea, Via s. Pietro-Proprietà Calabrini, Dep. 5., 15,38% individui (2 su 13).

Inquadramento cronologico: seconda metà VIII-prima metà IX

Bibliografia: Inedito, confronti con Vaccaro, La Torre 2015, Testolini 2018.

Scheda di fabric (Whitbread 1995 semplificata)

Ratio coarse/fine/voids: 10:85:5.

Orientazione preferenziale: alcuni inclusi paralleli alle pareti del vaso, in direzione della tornitura.

Matrice: fossilifera (prevalentemente foraminiferi planctonici tra cui globigerinoidi) con abbondante frazione media quarzosa, mediamente omogenea.

Inclusi: da scarsi a medi (5-20%), granulometria da media a finissima, poco assortiti; quarzo predominante (50-70%, da medio a finissimo, da sub-arrotondato ad angoloso), molto pochi microfossili (2-5%, da medi a finissimi, forme dipendenti dalla sezione del fossile), rara calcite (secondaria, riempimento vuoti ed orme di microfossili, 0,5-2%, da medio-grossolana a medio-fine), molto rara quarzarenite (<0,5%, da medio-grossolana a media, sub-angolosa), molto rari feldspati (<0,5%, fini, sub-arrotondati), molto rare metamorfiti acide (quarzo-feldspatiche e quarziti, <0,5%, medio-fini, da sub-arrotondate a sub-angolose).

3) Fabric LIC-L (Licodia Eubea, CT)

Breve definizione: Piccola forma chiusa a superficie chiara, area ibleo-calatina settentrionale o catanese (VIII-IX secolo)

Fabric petrografica di riferimento*: LIC-L

Campioni analizzati: LIC27 (=LSPPCDep.5/6)

Analisi effettuate: OM

Classi tecnologiche:

Tornita

Superficie chiara

Classi funzionali:

Tendenza

Dispensa

Forme e tipi morfologici

Forme chiuse

Brocchetta/Bottiglia

Areale di produzione ipotizzabile: Area iblea o catanese

Siti e percentuali di rinvenimento nei contesti: Licodia Eubea, Via s. Pietro-Proprietà Calabrini, Dep. 5., 7,69% individui (1 su 13).

Inquadramento cronologico: seconda metà VIII-prima metà IX

Bibliografia: Inedito, confronti con Testolini 2018, Barone et alii 2010.

Scheda di fabric (Whitbread 1995 semplificata)

Ratio coarse/fine/voids: 5:90:5.

Orientazione preferenziale: alcuni inclusi paralleli alle pareti del vaso, in direzione della tornitura.

Matrice: prevalentemente ferrica e scarsamente micacea, abbondante frazione fine quarzosa, omogenea.

Inclusi: medi (10-20%), granulometria da media a finissima, bene assortiti; quarzo predominante (>70%, da medio-fine a finissimo, da sub-arrotondato ad angoloso), rara mica (0,5-2%, finissima, lamellare), rari feldspati (0,5-2%, fini, sub-angolosi), molto rari inclusi vulcanici (tessitura ialopilitica, <0,5, granulometria media, da sub-arrotondato a sub-angoloso), molto rari pirosseni (<0,5%, fine, da sub-arrotondata a sub-angolosa), molto rara calcite (secondaria, <0,5%, da medio-grossolana a medio-fine, da sub-angolosa a molto angolosa).

4) Fabric LIC-C (Grotte di Marineo; Licodia Eubea – San Pietro/Proprietà Calabrini)

Breve definizione: Olle tipo Rocchicella, area ibleo-calatina (fine VIII-IX secolo)

Fabric petrografica di riferimento*: LIC-C

Campioni analizzati: LIC17, LIC24.

Analisi effettuate: OM

Classi tecnologiche:

Plasmata a mano

Lastra e cercine?

Classi funzionali:

Tendenza

Cucina

Forme e tipi morfologici

Forme chiuse

Olle con orlo a mandorla introflesso; Olle con orlo introflesso

Areale di produzione ipotizzabile: area ibleo-calatina

Siti e percentuali di rinvenimento nei contesti: Grotte di Marineo (Licodia Eubea, CT), Grotta 2, riempimento del Silos 1, 0,07% frammenti (1 su 1314), 1,4% individui (1 su 71), inv. MAR89GR2SL1/45 (=LIC17); individui da altri contesti: riempimento del Silos 2, invv. MAR89GR2SL2/1 (= LIC17); MAR89GR2SL2/2; ripulitura superficiale invv. MAR89GR2SUP/3-4; Licodia Eubea, Via s. Pietro-Proprietà Calabrini, Dep. 5., 7,69% individui (1 individuo su 13) (= LIC24). Sequestro area Grammichele – Inv. LIC.SEQ.’03/13

Inquadramento cronologico: seconda metà VIII-prima metà IX

Bibliografia: inedito, confronti con Alaimo-Giarrusso 2004b

Scheda di fabric (Whitbread 1995 semplificata)

Ratio coarse/fine/voids: 15:80:5.

Orientazione preferenziale: irregolari orientamenti di inclusi e vuoti (vuoti planari, vescicole, buchi) paralleli alle pareti del vaso (pressioni su lastra?).

Matrice: scarsamente fossilifera (foraminiferi) con abbondante frazione fine quarzosa, mediamente omogenea.

Inclusi: da scarso a medio (5-20%), da fini a molto grossolani, da poco a male assortiti; frazione fine costituita prevalentemente da quarzo (>70%, da medio-fini a finissimi, forma da sub-arrotondata ad angolosa), da molto pochi a rari microfossili (orme di foraminiferi planctonici per lo più globigerinoidi, 0,5-5%, da fini a finissimi), molto rare metamorfiti acide (<0,5%, da media a medio-fine, sub-angolosa); la frazione grossolana è costituita da calcite spatica (in minor misura micritica) predominante (>70%, da medio-grossolana a molto grossolana, forma da angolosa a molto angolosa), molto poche argilliti (2-5%, medie, sub-arrotondate). In LIC17: frammento di chamotte di vaso cotto a cottura riducente (molto grossolano, forma molto angolosa); in LIC24: frammento di roccia vulcanica a struttura ialopilitica (grossolano, forma da angolosa a molto angolosa).

5) Fabric LIC-I (Licodia Eubea – San Pietro/Proprietà Calabrini)

Breve definizione: Anfore globulari con matrice micacea e scheletro medio-grossolano (VIII-IX secolo)

Fabric petrografica di riferimento*: LIC-I

Campioni analizzati: LIC26

Analisi effettuate: OM

Classi tecnologiche:

Tornita

Acroma

Classi funzionali:

Tendenza

Trasporto

Forme e tipi morfologici

Forme chiuse

Anfore globulari

Areale di produzione ipotizzabile: Egeo?

Siti e percentuali di rinvenimento nei contesti: Licodia Eubea, Via s. Pietro-Proprietà Calabrini, Dep. 5., 2,2% frammenti (3 su 135), 7,14% individui (2? su 13).

Inquadramento cronologico: VIII-prima metà IX

Bibliografia: inedito, confronti con Testolini 2018

Scheda di fabric (Whitbread 1995 semplificata)

Ratio coarse/fine/voids: 10:85:5.

Orientazione preferenziale: le miche tendono a disporsi parallelamente alle pareti del vaso, in direzione della tornitura.

Matrice: micacea, omogenea.

Inclusi: scarsi (5-10%), da medio-grossolani a finissimi, da bene a poco assortiti; inclusioni rappresentate da mica bianca dominante (50-70%, da finissima a medio-fine, di forma lamellare o a scaglie che seguono l’andamento lepidoblastico delle rocce metamorfiche originarie), comune roccia metamorfica acida di grado medio-basso (principalmente filladi, 15-30%, da medio-grossolana a medio-fine, da sub-angolosa a molto angolosa), pochi k-feldspati (5-15%, da fini a medi, sub-angolosi) e rara mica scura (0,5-2%, da finissima a medio-fine, forma sub-angolosa).

6) Fabric LIC-A (Grotte di Marineo, CT)

Breve definizione: Produzione acroma e dipinta a bande sinusoidali, area calatino-iblea

Fabric petrografica di riferimento*: LIC-A

Campioni analizzati: LIC1, LIC2, LIC4, LIC5, LIC6, LIC7, LIC10, LIC11, LIC12, LIC13, LIC14, LIC15, LIC16

Analisi effettuate: OM.

Classi tecnologiche:

Tornita

acroma

dipinta a bande (sinusoidali)

Classi funzionali:

Tendenza

Mensa

Dispensa

Trasporto

Attestazioni d’uso contestuale

Materiale di risulta: scarico di fornace utilizzato come riempimento

Forme e tipi morfologici

Forme aperte

Coppa carenate orlo arrotondato

Coppa a pareti svasate

Tazzone

Tazza

Forme chiuse

Anfore a collo largo

Anfore a collo stretto

Anforette bruciaprofumi (?)

Areale di produzione ipotizzabile: Area Licodia-Vizzini-Marineo-Grammichele?

Siti e percentuali di rinvenimento nei contesti: Grotte di Marineo (Licodia Eubea, CT), Grotta 2, riempimento del Silos 1 (scarico di fornace): 99,54% (1308 frr. su 1309), 95,78% individui (68 su 71); altri frammenti in “riempimento Silos 2”, “Buca A” e “ripulitura superficiale”.

Inquadramento cronologico: fine IX-pieno X secolo

Bibliografia: inedito

Scheda di fabric (Whitbread 1995 semplificata)

Ratio coarse/fine/voids: 5:90:5.

Orientazione preferenziale: alcuni inclusi paralleli alle pareti del vaso, in direzione della tornitura.

Matrice: molto fossilifera (foraminiferi, echinodermi, ostracodi), mediamente omogenea.

Inclusi: molto scarsi (<5%), da medi a finissimi, bene assortiti; microfossili predominanti (>70%, da medio-fini a finissimi, forme dipendenti dalla sezione del fossile), rari inclusi vulcanici, principalmente ialoclastiti (palagonite) e subordinatamente a struttura microcristallina a ialopilitica (0,5-2%, medio-fini, da sub-arrotondato a sub-angoloso), molto raro quarzo (<0,5%, da fine a finissimo, da sub-arrotondato ad angoloso), molto rara calcite (<0,5%, da medio-grossolana a medio-fine, da sub-angolosa a molto angolosa), molto rari pirosseni e feldspati (<5%, fini, sub-arrotondati).

7) Fabric LIC-B (Grotte di Marineo, CT)

Denominazione: Ceramica da fuoco plasmata a cercine, area Licodia-Vizzini

Fabric petrografica di riferimento*: LIC-B

Campioni analizzati: LIC9

Analisi effettuate: OM

Classi tecnologiche:

Plasmata a mano

Cercine

Classi funzionali:

Tendenza

Cucina

Forme e tipi morfologici

Forme chiuse

Olla con orlo appiattito

Areale di produzione ipotizzabile: Area Licodia Eubea-Vizzini-Grammichele

Siti e percentuali di rinvenimento nei contesti: Grotte di Marineo (Licodia Eubea, CT), Gr.2 silos 1, 1,4% individui (1 su 71).

Inquadramento cronologico: fine IX-X secolo

Bibliografia: inedito.

Scheda di fabric (Whitbread 1995 semplificata)

Ratio coarse/fine/voids: 25:70:5.

Orientazione preferenziale: nessuna.

Matrice: carbonatico-fossilifera, omogenea.

Inclusi: scarsi (5-10%), granulometria da finissima a grossolana, scarsamente assortiti; chamotte frequente (30-50%, da medio-grossolana a grossolana, da sub-angolosa ad angolosa), comuni palagoniti (15-30%, da fini a medi, da sub-arrotondate a sub-angolose), rara calcite primaria e secondaria (0,5-2%, sub-angolosa, da medio-fine a media, da sub-arrotondato a sub-angoloso o riempimento vuoti dei microfossili), molto rari clinopirosseni (<0,5%, da finissimi a medio-fini, da sub-arrotondati ad angolosi, spesso immersi nella componente vetrosa delle ialoclastiti con palagonite).

8) Fabric LIC-D (Grotte di Marineo, CT)

Denominazione: Ceramica da fuoco plasmata a cercine, area Licodia-Vizzini

Fabric petrografica di riferimento*: LIC-D

Campioni analizzati: LIC18

Analisi effettuate: OM

Classi tecnologiche:

Plasmata a mano

Stampo e percussore

Classi funzionali:

Tendenza

Cucina

Forme e tipi morfologici

Forme chiuse

Pentola con decorazione a cordone applicato

Areale di produzione ipotizzabile: Area Licodia Eubea-Vizzini-Grammichele

Siti e percentuali di rinvenimento nei contesti: Grotte di Marineo (Licodia Eubea, CT), “Buca A” (tardo XI-prima metà XII secolo).

Inquadramento cronologico: XI-prima metà XII secolo

Bibliografia: inedito

Scheda di fabric (Whitbread 1995 semplificata)

Ratio coarse/fine/voids: 50:40:10.

Orientazione preferenziale: nessuna.

Matrice: carbonatico-fossilifera, omogenea.

Inclusi: abbondanti 20-40%), granulometria da finissima a molto grossolana, scarsamente assortiti; palagonite predominante (>70%, da finissima a molto grossolana, da sub-arrotondata a molto angolosa), rari microfossili e calcite di riempimento dei vuoti dei microfossili (0,5-2%, da medi a finissimi, forme dipendenti dalla sezione del fossile).

9) Fabric LIC-E – Coppe invetriate con orlo a piccola tesa (Grotte di Marineo, CT)

Denominazione: Ceramica da fuoco plasmata a cercine, area ibleo-calatina?

Fabric petrografica di riferimento*: LIC-E

Campioni analizzati: LIC19, LIC20

Analisi effettuate: OM

Classi tecnologiche:

Tornita

schiarita

Classi funzionali:

Tendenza

mensa

Forme e tipi morfologici

Forme chiuse

Coppa a profilo emisferico ed orlo a piccola tesa

Areale di produzione ipotizzabile: Sicilia centro-sud-orientale?

Siti e percentuali di rinvenimento nei contesti: Grotte di Marineo (Licodia Eubea, CT), Gr.2 “Buca A”, 2 individui.

Inquadramento cronologico: fine XI-prima metà XII secolo

Bibliografia: inedito

Scheda di fabric (Whitbread 1995 semplificata)

Ratio coarse/fine/voids: 0:95:5.

Orientazione preferenziale: alcune vescicole seguono l’orientamento delle pareti.

Matrice: ferrico-carbonatica, omogenea; il campione LIC20 presenta tracce di schiarimento interno al corpo ceramico.

Inclusi: da scarsi a medi (5-20%), granulometria da finissima a medio-fine, e ben assortiti; quarzo predominante (50-70%, da finissimo a medio-fine, da sub-arrotondato ad angoloso), rari inclusi vulcanici (palagoniti? 0,5-2%, da fini a medio-fini, sub-arrotondati), molto rare concentrazioni di ossidi metallici (<0,5%, da fini a medio-fini, da arrotondati a sub-arrotondati.

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1 * Università degli Studi di Catania – Scuola Dottorale in Scienze per il Patrimonio e la Produzione Culturale; Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne – École Doctorale ED112 Archéologie.

Si tratta di un lavoro di ricerca per una tesi in cotutela tra le due scuole dottorali sopracitate delle università di Catania e Paris 1 Panthéon-Sorbonne, sotto la direzione scientifica di Lucia Arcifa e Jean-Pierre Van Staëvel, ed a titolo “Dinamiche insediative e paesaggi produttivi in un contesto di frontiera: per un approccio sociologico all’archeologia della Sicilia orientale tra Bisanzio e Islam (secoli IX-XI)/Dynamiques de peuplement et paysages productifs en contexte frontalier: pour une approche sociologique à l’archéologie de la Sicile orientale entre Byzance et l’Islam (IXe-XIe siècle)”.

2 Sulle questioni legate al ruolo che ha giocato la frontiera sull’isola nella diacronia, si confrontino Nef 2013, 2018, Nef, Prigent 2013, Bramoullé 2014, Picard 2014, 2015; per una prima riflessione sulle implicazioni sul piano della cultura materiale, Arcifa, Messina 2018. Sul ruolo delle isole nella frontiera mediterranea, Fois 2014.

3 Per il periodo islamico, fondamentali risultano i lavori contenuti nel volume Living with Nature and Things. Contributions to a New Social History of the Middle Islamic Periods a cura di Bethany J. Walker e Abdelkader Al Ghouz, per le cui premesse metodologiche illuminanti rimando all’introduzione della Walker (2020); per la Sicilia islamica, si leggano le sollecitazioni già contenute in Nef 2014.

4 Bonacini 2008.

5 Nef, Prigent 2013.

6 Le analisi minero-petrografiche sono state effettuate nei laboratori del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Ateneo di Catania, con il supporto scientifico dei professori Germana Barone e Paolo Mazzoleni; queste analisi rientrano in un progetto di creazione di un database archeometrico delle produzioni ceramiche altomedievali siciliane e bizantine in particolare, inquadrato nel PRIN The Byzantine Heritage of Southern Italy: settlement, economy and resilience in changing territorial and landscape contexts (Coordinatore: P. Arthur, Università del Salento).

7 Non potendo in questa sede entrare troppo nel dettaglio topografico del nugolo di vie che attraversa il territorio tra Licodia e Marineo Rimando all’analisi dettagliata in Bonacini 2008, pp. 55-62.

8 Ringrazio il professore Orazio Palio (UniCT) e la dottoressa Maria Turco (Soprintendenza BBCCAA di Catania) per il loro invito allo studio della frequentazione medievale e moderna delle grotte di Marineo: questi materiali, rinvenuti alla fine degli anni Ottanta dalla Soprintendenza di Catania all’interno della Grotta 2, saranno oggetto di pubblicazione in una monografia sul sito che si propone di unire i dati delle nuove campagne di scavo alle – poche – informazioni sugli interventi precedenti.

9 Sembrerebbe l’asse lungo il quale, agli inizi del XII secolo, correva il limite meridionale della terra di Licodia, donata da Achi di Vizzini alla doppia abbazia di San Bartolomeo di Lipari e del San Salvatore di Patti, Townsend White 1984, p. 156; Sciorto 1990, pp. 69 ss.

10 Ringrazio il professore Orazio Palio e la dottoressa Maria Turco per le informazioni relative ad indagini ancora in corso.

11 Per l’inquadramento crono-tipologico, si confrontino gli esemplari disegnati con le altre produzioni di forme chiuse tornite siciliane, registrate in altri siti coevi: Mineo (Arcifa 2008, Longo 2016, Arcifa 2018), Contrada Edera a Bronte (Conti, Libetti 2015, Arcifa, Turco 2016, Arcifa, Leanza, Luca, Messina 2020), Catania (Arcifa 2010), Siracusa (Cacciaguerra 2018, 2020) e Philosophiana (Vaccaro, La Torre 2015).

12 Tipologicamente confrontabili con esemplari da Siracusa (Cacciaguerra 2018) e dal territorio siracusano (Cacciaguerra 2014), da Philosophiana (Vaccaro, La Torre 2015); da Mazzarrone (Arezzo et alii 2016, p. 48 fig. 3.4).

13 Appendice – Scheda di fabric LIC-F. Cfr. Testolini 2018, pp. 139-145, fabric group 5.

14 Appendice – Scheda di fabric LIC-G. Cfr. Vaccaro, La Torre 2015; Testolini 2018, fabric group 3; Alaimo et alii 2010, pp. 51-52.

15 Appendice – Scheda di fabric LIC-L. Autopticamente e petrograficamente, ricorda molto da vicino delle produzioni documentate negli strati medio-bizantini del Teatro Antico di Catania, attualmente in fase di studio (Taormina 2015); per un confronto petrografico, Testolini 2018, fabric group 5; Alaimo, Giarrusso 2004, pp. 406-407, fig. 5 (campione 18/3).

16 Per confronto petrografico con produzioni dell’area siracusana, si confrontino tali dati con i prodotti ellenistici editi in Barone et alii 2014.

17 Appendice - Scheda di fabric LIC-C.

18 Si confronti il dato tecnologico con i dati petrografici pubblicati per questa tipologia in Alaimo, Giarrusso 2004, pp. 406-407 fig. 4 (campione Rocchicella 18/1) e Vaccaro, La Torre 2015, pp. 77-79, fig. 10C (campione 9711).

19 Rascaglia, Capelli 2018, Orecchioni, Capelli 2018; Poulou-Papadimitriou 2017, p. 203; Poulou-Papadimitriou, Nodarou 2007, p. 757, fig. 3e ; Testolini 2018, pp. 143-145, figg. 22-23).

20 Come si evince dai disegni, la numerosità degli individui nelle varianti poco cotte ha reso difficile la ricostituzione della maggior parte degli individui, poiché le fratture, soggette agli ulteriori microurti nelle cassette stesse, si sono irreparabilmente danneggiate, lasciando una gran quantità di frammenti minutissimi (non considerati nella valutazione quantitativa del contesto); non a caso, quasi tutti degli individui ricostruiti almeno in parte appartengono alle varianti cromatiche maggiormente consolidate (cfr. Tav. III).

21 Arcifa, Bagnera 2014, Ardizzone, Pezzini, Sacco 2014, Ardizzone, Pezzini, Sacco 2015, Sacco 2018a,b.

22 Attualmente, il tipo sembra avere una lunga storia produttiva, che dalla prima metà del X secolo arriverebbe fino alla prima metà dell’XI (Sacco 2018, pp. 180-184, figg. 4-5-6.a); confronti anche a Siracusa in contesti di seconda metà X-prima metà XI secolo (Cacciaguerra 2018, pp. 158-160, fig. 12.1-2), mentre nella sua versione più tarda (tipo 6.1c) si rinviene nel pianoro di Piano Grilli (Torrenova, ME), in un contesto databile all’XI secolo (Messina 2020a, pp. 264-267, fig. 11.2).

23 Palermo: Sacco 2018a, pp. 180-184, figg. 4-5, Eadem 2018b, pp. 220-221, fig. 2.1; a Casale Nuovo, Molinari, Valente 1995, p 417, Tav. III.17; a Milena, nel sito di Milocca, Arcifa, Tomasello 2005, pp. 663-664, fig. 23; in Ifriqiya, Gragueb Chatti et alii 2011 pp. 211-218, Ardizzone, Pezzini, Sacco 2015, p. 239, fig. 3.b.4.

24 Si tratta del tipo 4.1 Sacco (Sacco 2018, pp. 180-184, figg. 4-5.), attestato in contesti di fine IX-prima metà del X secolo (Ardizzone, Pezzini, Sacco 2014, p. 219 fig. 6.7; Sacco 2014, p. 227 fig. 1.4-5; Arcifa, Bagnera 2014, Tav. V.1.4); questa forma si registra anche tra le produzioni dipinte in fabric A2 da Paternò prodotte nel pieno X secolo, di ipotizzabile provenienza etnea (Messina et alii 2018, Arcifa, Messina 2018, p. 381, fig. 4.29-30).

25 Per le proposte di datazione, cfr. Tipo 7 in Sacco 2018, pp. 180-183, figg. 4-5; una possibile destinazione per contenuti semisolidi è stata proposta per gli esemplari di Ṣabra al-Manṣūriyya (Gragueb Chatti et alii 2011 pp. 211-218 fig. 12; cfr. Ardizzone, Pezzini, Sacco 2015, pp. 236-240); confronti particolarmente pertinenti sul piano morfologico si trovano anche a Mineo (Arcifa 2008, pp. 306-309, figg. 165-166, n. 831); a Paternò sia tra i prodotti locali che tra quelli palermitani (Arcifa, Messina 2018, Messina et alii 2018); a Siracusa (Cacciaguerra 2018, p. 158-160, fig. 12.6); infine, una forma similare si rinviene nei riempimenti dei pozzi della parte monumentale della Villa del Casale di Piazza Armerina, durante le campagne 2007-2009 di riapertura degli scavi Gentili (Gasparini, Scarponi, Paternicò 2013, p. 1286, 1309 fig. 16.1).

26 Palazzo Bonagia (Sacco 2014, p. 226-227, fig. 1.3), Piazza Bologni (Aleo Nero, Chiovaro, De Luca 2014, p. 257 Tav.III.4);

27 Sui contesti di tardo IX-inizi X secolo di Taormina, Arcifa 2004; sui contesti di Palermo, Sacco 2014, p. 227, fig. 1.10; Arcifa, Bagnera 2014, Tavv. II.29-30, IV.21; da Casale Nuovo, Molinari 2014, p. 331, fig. 3.5.

28 Esemplari acromi dall’US865 di Castello-San Pietro (Arcifa, Bagnera 2014, p. 169, 187, Tav. III.19) nonché dai contesti databili alla prima metà del X secolo da Casale Nuovo (Molinari 2014, p. 331, fig. 3.1-2); da Raqqada e Kairouan (Gragueb Chatti, Touihri, Sacco 2019, p. 283 fig. 1); esemplare dipinto da Palazzo Bonagia (Sacco 2014, Fig. 1.a).

29 Sacco 2017, pp. 341-345, 360 Tab.4.

30 Con questa definizione si vuole sottolineare come, nonostante sia ovviamente complesso definire una cronologia precisa per un repertorio ceramico, è evidente come in questo caso ci troviamo davanti ad un “fatto” verificatosi in un momento difficilmente databile ma di durata molto breve, ovvero dell’articolazione di un unico processo produttivo andato male di cui in questa grotta abbiamo testimonianza soltanto del momento finale, in cui si è scelto di riempire la fossa granaria; per classificazione ed interpretazione della cultura materiale per “fatti” ed usi concreti che ricostituiscono la “vita sociale” dei manufatti, Giannichedda 2016, pp. 145 ss.

31 Ardizzone, Pezzini, Sacco 2015, pp. 248-250, fig. 8.9; a Paternò se ne registra una produzione nel pieno X secolo caratterizzata da inclusi vulcanici compatibili con il distretto etneo, Messina et alii 2018, pp. 210-212, fig. 2C.

32 Non è stato possibile procedere alla documentazione completa di questo contesto per problemi logistici pervenuti nel corso dello studio; tuttavia, si tratta di un’unica cassetta di materiali non completamente riempita, molto meno consistente rispetto agli oltre 1200 frammenti (8 cassette) di riempimento del silo 1.

33 Arcifa 1996, 2008b; Molinari 1995; Cavallaro 2007; Spafafora, Canzonieri, Di Leonardo 2012, D’Angelo 2012, Messina 2016, pp. 90-92, tav. IV.1-2.

34 Per la datazione dall’XI secolo in poi di queste produzioni plasmate a mano, Arcifa, Lesnes 1997, pp. 406-407; Molinari 1997, pp. 120-122, bibliografia sui prodotti della fase V di Paternò in Arcifa, Messina 2018.

35 Sacco 2019, p. 6.

36 Termine con cui si indicano, in arabo, varie tipologie di condutture idriche, e che in questo caso indica un elemento di tubatura fittile in ceramica.

37 Molinari 1997a, pp. 189, fig. 185 V.1a, De Luca 1997, pp. 208-210.

38 De Bieb. Kaz., I, 316.

39 Non potendo scendere nel dettaglio di questa tematica, che necessiterebbe ovviamente di una più ampia riflessione sui modi di produzione della ceramica, ci limitiamo a segnalare l’attestazione, sempre nelle lettere della Geniza, di una ḫulṭa stipulata tra due mercanti in cui, fra le varie spese per la produzione e la spedizione di carichi di vario tipo, inseriscono anche le spese di imbottigliamento per delle brocche destinate alla circolazione di sapone, Goitein 1973, pp. 135-138. In generale, le spese di impacchettamento, imballaggio o imbottigliamento dei manufatti di cui è testimoniata la circolazione sono spesso riportate specificatamente nelle lettere di ḫulṭa (ibidem, nonché Goldberg 2012): pur sottolineando il carattere assolutamente ipotetico di questa interpretazione, che sarà necessario corroborare con altri tipi di evidenze in futuro, è possibile dunque che in questo caso qualcuno abbia voluto distinguere una parte del lotto – forse pertinente al tipo su cui si è incisa questa iscrizione? – la cui produzione era basata su un accordo di questo tipo, rispetto ad altre tipologie su cui invece vertevano altri tipi di “contratti”; per la complessità dell’articolazione di un processo produttivo della ceramica e con specifico riferimento al mondo islamico, Fili 2003).

40 Questi materiali, conservati sempre al Museo di Licodia Eubea, sono stati sequestrati dalla sezione di Grammichele del Tribunale di Caltagirone, ed in seguito dissequestrati dai carabinieri di Licodia e presi in consegna dal museo.

41 Cfr. Sacco 2017, pp. 346 ss..

42 Per quanto suggestiva, questa debolissima ipotesi andrà vagliata con l’apporto di nuove ricerche nella zona. Ringrazio il collega Dario Torrisi per la segnalazione bibliografica, così come per il triste aggiornamento che l’area di contrada Favara rimanga stabilmente nelle mire degli scavatori di frodo.

43 Arcifa 2018, Cacciaguerra 2020.

44 Per questi aspetti prettamente insediativi e politico-militari, Arcifa et alii c.d.s.

45 Sullo stoccaggio del grano nel mondo bizantino, Prigent 2008.

46 Cozza-Luzi 1890, pp. 28-30, 100-102.

47 Termine suggestivo che rimanda linguisticamente ai μαγκλαβίται – portatori del μαγκλάβιον, truppe scelte della guardia imperiale, nonché titolo onorifico – di cui spesso sembra rimanere traccia toponomastica in punti particolarmente importanti per il controllo territoriale (Caracausi 1990, p. 350, Arcifa 2011, n. 24).

48 Questa la probabile origine del nome “Licodia”, per cui si veda Caracausi 1983, s.v., p. 263.

49 Sulla fondazione del kastron di Butera, Fiorilla, Gueli 2020.

50 Sugli effetti di questa politica sulla Sicilia bizantina, Nef, Prigent 2013, Nef 2018.

51 Cfr. le evidenze dalle ricognizioni archeologiche effettuate in Sicilia occidentale (nel trapanese, Filippi 2003, Rotolo, Martín Civantos 2014; Territorio di Contessa Entellina, Corretti, Facella, Mangiaracina 2014, Monti Sicani nell’entroterra agrigentino, Bergemann 2013, 2014; territorio di Segesta-Calatafimi, Molinari, Neri 2004, Molinari 2014; sull’entroterra palermitano, Alfano 2014, Johns 1988); questo discorso è affrontato anche in Arcifa 2013.

52 Termine con cui in quest’opera si definisce genericamente l’autorità “centrale”, il potere in senso generico, Nef 2010.

53 Sul cambiamento del ruolo di Siracusa nel quadro mediterraneo tra età bizantina ed islamica, Cacciaguerra 2018, p. 170.

54 Ad oggi manca, purtroppo, un lavoro sistematico sulle evidenze relative alla conservazione del grano in Sicilia orientale, che sarebbe fondamentale per vagliare la validità di questa ipotesi; per delle valutazioni generali sulle fosse granarie in Sicilia, Arcifa 2008, Bresc 2010, Alfano 2017.

55 Cfr. i dati da Philosophiana (Vaccaro 2012), dell’area a nord di Siracusa (Cacciaguerra 2014) così come dell’area di Gela (Bergemann 2013, 2014).

56 Goitein 1967, p. 124, Idem 1971 pp.14-15, Nef 2007, p. 289.

57 È il caso della principessa fatimide, zia di al-Ḥākim, che alla sua morte (poco prima del 1025) aveva tesaurizzato 30'000 vesti di finissima lana siciliiana (Lombard 1978, p. 54; Horden, Purcell 2000, p. 357); si ricordi inoltre che, quando l’emiro kalbita Abū Yūsuf, alla fine del X secolo, fugge dall’isola insieme al figlio Ğa‘far, portando con sé tutte le sue ricchezze eccetto i tredicimila capi di bestiame tra giumente, muli ed altre specie di sua proprietà, cosa che lo avrebbe fatto morire avendo soltanto la sua cavalcatura (al-Nuwayrī 2004, p.206).

58 Nef 2010, p. 138.

59 Al-Dāwudī 2008, pp. 85-86; Abdul Wahab, Dachraoui 1962, pp. 420, 438.

60 Per una riflessione sul tema della grande proprietà in Sicilia tra età bizantina ed islamica, Nef, Prigent 2018.

61 Per un’analisi delle mandre e del loro legame con l’allevamento estensivo in Sicilia, Bresc 1997.

62 Idrīsī 1999, p. 333.

63 Caracausi 1983, pp. 281-282.

64 Caracausi 1990, p. 408.

65 al-Dāwudī 2008, pp. 89-90, Abdul Wahab, Dachraoui 1962.

66 Ermini Pani, Stasolla 2007, p. 550. Per una prospettiva mediterranea intorno agli sviluppi della cultura materiale di queste fasi, Reynolds 2016.

67 Ibn Ḥawqal 1992, p. 120.

68 Bourdieu 2012.

Cómo citar: Michelangelo Messina, (2022): Paesaggi produttivi della frontiera arabo-bizantina in Sicilia sud-orientale (IX-XI secolo): produzioni ceramiche e dinamiche insediative nell’area di Licodia e Marineo (CT). Arqueología Y Territorio Medieval, 29. e6798. https://doi.org/10.17561/aytm.v29.6798