Storia e cronaca di un fallimento. Il reclutamento universitario in Italia tra cooptazione, carenza di integrità accademica e proposte di cambiamento

Giambattista Scirè

Storia e cronaca di un fallimento. Il reclutamento universitario in Italia tra cooptazione, carenza di integrità accademica e proposte di cambiamento

Revista de Estudios Jurídicos, no. 22, 2022

Universidad de Jaén

Historia y crónica de un fracaso: el reclutamiento universitario en Italia entre cooptación, falta de integridad académica y propuesta de cambio

History and account of a failure: cooptation, lack of academic integrity, and proposals for change in Italy University recruitment

Giambattista Scirè *

Università di Catania, Italia


Received: 28 April 2022

Accepted: 10 May 2022

Sommario: Il discorso che è stato articolato in questo saggio propone alcune soluzioni alla comunità scientifica e alla cittadinanza europea per iniziare una riflessione profonda sulla necessità di cambiamento dell’università che faccia da presupposto per il miglioramento della classe dirigente, dello Stato e della società italiana. Questo studio storico indaga il livello di integrità accademica, la cooptazione e le motivazioni delle tante mancate riforme sulla legislazione e sul reclutamento universitario dall'Unità d'Italia ad oggi e rappresenta un argomento di riflessione denso di tematiche di natura sociale, politica, economica, giuridica ed etica. La ricerca individua le criticità dell'attuale sistema di reclutamento universitario italiano, illustra l'azione di contrasto alla “Mala Università” svolta dall'associazione “Trasparenza e Merito. L'Università che vogliamo” e avanza 10 proposte di modifica alla legge 240/2010 sull'Università. Si tratta di un argomento che contribuisce a spiegare la ragione per cui l'Italia e la sua classe dirigente, di fronte alle gigantesche trasformazioni che le economie di mercato hanno subìto nel corso del Novecento e in particolare negli ultimi decenni per effetto della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica, faccia così tanta fatica oggi a tenere il passo dei paesi più avanzati in termini di sviluppo economico e di ricerca scientifica.

Parole: università; reclutamento; cooptazione; trasparenza; merito; integrità accademica; storia contemporanea; diritto; riforme; legislazione universitaria; giustizia.

Abstract: The argument articulated in this essay proposes some solutions to the scientific community and to European citizenship to start profound reflection on the need for change in the university as a prerequisite for the improvement of the ruling class, of the state, and of Italian society. This historical study aims at investigating the level of academic integrity, the cooptation, and the reasons of the many missed reforms on legislation and university recruitment from the unification of Italy up to today. It is a topic for discussion full of social, political, economic, and legal issues and ethics. It identifies the critical issues of the current Italian university recruitment system, it illustrates the action against the “Mala Università” carried out by the association “Transparency and Merit. The University we want” and it presents 10 proposals for amendments to Law 240/2010 on the University. It is a topic that may help explain the reason why today it is so hard for Italy and its ruling class, confronted with the huge transformations that market economies underwent during the twentieth century and especially in recent decades due to globalization and the technological revolution, to keep pace with the most advanced countries in terms of economic development and scientific research.

Keywords: universities; recruitment; cooptation; transparency; merit; academic integrity; contemporary history; law; reforms; university legislation; courts.

Resumen: El objeto de este ensayo es proponer algunas soluciones a la comunidad científica y a la ciudadanía europea para iniciar una reflexión profunda sobre la necesidad de un cambio en la universidad, como requisito previo para la mejora de la clase dominante, el estado y la sociedad italiana. Se analiza el nivel de integridad académica, la cooptación y las razones de las muchas reformas fallidas en la legislación y en la contratación universitaria desde la unificación de Italia hasta hoy, de la que emanan reflexiones sociales, políticas, económicas, jurídicas y éticas. La investigación identifica las criticidades del actual sistema de reclutamiento universitario italiano, ilustra la acción contra la “Mala Università” llevada a cabo por la asociación “Transparencia y Mérito. La Universidad que queremos” y presenta propuestas de modificación de la Ley 240/2010 de Universidad. Este es un argumento que ayuda a explicar por qué Italia y su clase dirigente, ante las gigantescas transformaciones que han sufrido las economías de mercado durante el siglo XX y, en particular, en las últimas décadas debido a la globalización y la revolución tecnológica, hoy es tan difícil de seguir el ritmo de los países más avanzados en términos de desarrollo económico e investigación científica.

Palabras clave: universidad; contratación; cooptación; transparencia; mérito; integridad académica; historia contemporánea; derecho; reformas; legislación universitaria; justicia.

Sumario

I. Premessa. II. Legislazione universitaria, cooptazione e reclutamento dei docenti dall'Unità d'Italia ad oggi. III. Criticità dell'attuale sistema di reclutamento universitario italiano. IV. Trasparenza e Merito e l'azione di contrasto alla “Mala Università”. V. Le proposte di modifica alla legge 240/2010 sull'Università. VI. Conclusione. VII. Bibliografía

I. PREMESSA

Uno studio storico che indaghi sul livello di integrità accademica e che individui le motivazioni delle tante mancate riforme sulla legislazione e sul reclutamento universitario dall'Unità d'Italia ad oggi rappresenta un argomento di riflessione denso di tematiche di natura sociale, politica, economica, giuridica ed etica. È un argomento che contribuisce a spiegare - a mio avviso meglio di qualsiasi altra cosa - la ragione per cui l'Italia e la sua classe dirigente, di fronte alle gigantesche trasformazioni che le economie di mercato hanno subìto nel corso del Novecento e in particolare negli ultimi decenni per effetto della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica, faccia così tanta fatica oggi a tenere il passo dei paesi più avanzati in termini di sviluppo economico e di ricerca scientifica.

Le università, in quanto istituzioni dedicate all'educazione del capitale umano, assumono un'importanza vitale per la competitività scientifica globale, lo sviluppo culturale e socio-economico dei paesi. L'alta istruzione è il settore pubblico che, secondo le statistiche e gli studi, influenza maggiormente il destino e il successo nella società, i valori e le convinzioni dei giovani riguardo al bene e al male, al legale e all’illecito, incide sulla selezione delle élite, delle classi dirigenti e della futura leadership delle nazioni.

In altre parole, in una società sempre più tecnologica, non solo le informazioni e i prodotti culturali, la trasformazione dei saperi e delle conoscenze, ma soprattutto le professionalità, il capitale umano, nell'ambito dell'istruzione e dell'alta formazione, rappresentano un settore sempre più fondamentale, centrale e strategico, per le sue funzioni educative, formative, politiche, sociali, per le sue implicazioni disciplinanti, per affrontare le sfide che l'economia-mondo impone nell'età della globalizzazione. Un reclutamento universitario fondato, dunque, sulla trasparenza delle regole, sulla legalità e sulla valorizzazione del merito è fondamentale per il progresso di un paese. Al contrario, la mancanza di integrità accademica, unita a pratiche scorrette e altre forme di comportamento non etico, o addirittura illegale, rappresenta un enorme limite allo sviluppo delle nazioni. È questa una questione che non può non interessare le classi dirigenti a livello planetario perché incide in termini direttamente economici sul PIL. La disonestà inibisce l’accesso allo studio da parte dei poveri, diminuisce le opportunità di acquisizione e formazione della conoscenza, la disponibilità, l'equità e la qualità dei beni e dei servizi educativi, abbassa il livello scientifico della ricerca. Tutti fattori essenziali per la competitività economica e la mobilità sociale di un paese. Le istituzioni caratterizzate da negligenze accademiche erodono e indeboliscono, anziché rafforzare, l’integrità e la coesione sociale di una nazione.

In Italia, per ragioni storiche, il perdurare nei fatti di logiche premoderne e clientelari fondate su favoritismo, raccomandazioni, corruzione nella organizzazione dello Stato, delle sue istituzioni e della sua pubblica amministrazione,1 che provocano costi, inefficienze, criticità e distorsioni nel sistema complessivo, rappresenta un elemento caratterizzante che penalizza il paese nel suo processo di crescita economica e di sviluppo civile, riducendo al minimo la competitività internazionale e la stessa possibilità di creare un tessuto sociale e politico trasparente e meritocratico. La nota rivista inglese «Nature» ha sottolineato che l’Italia, insieme a Romania, Bulgaria e Grecia, è tra i paesi europei con “il minor controllo del fenomeno del nepotismo e della corruzione nella pubblica amministrazione”, ricordando che, solo laddove il progresso è basato sul merito e non sul favoritismo, governi e mercati promuovono allo stesso modo valori e risultati di prosperità, mentre in paesi come l’Italia, in cui un tale sistema non riesce a prendere piede, l’allocazione sociale è diretta “preferenzialmente” piuttosto che eticamente. Un modo elegante o soft per parlare di clientele (Mungiu-Pippidi, 2015).

In questo meccanismo di costruzione di un “sistema-paese” legale e produttivo, come vedremo, giocano un ruolo preponderante il sistema universitario e le strutture di ricerca.

Negli Stati Uniti e in alcuni paesi come l'Inghilterra esiste un network di istituzioni che si occupa di misurare il livello di integrità dell'Accademia.2 In pratica, studiano il livello di legalità nella condotta dei docenti dell'alta istruzionee hanno una sorta di termometro sulle negligenze (“malpractices”) accademiche. Per quanto riguarda i paesi europei la questione è ancora più grave, visto che esiste una regola di condotta materiale di studiosi e docenti sancita nella Carta europea dei ricercatori. Si chiama Codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori della Commissione europea (2005). L'efficacia del reclutamento e della promozione dei docenti universitari, basata su trasparenza e schemi di incentivo al merito, è evidentemente cruciale per garantire pari e democratiche opportunità a tutti i ricercatori e alla ricerca dell’eccellenza nel sistema culturale e scientifico.

Altrettanto non accade, purtroppo, in Italia, dove la natura chiusa e insulare della comunità accademica comporta che su questi temi gli studi e il dibattito rimangano assolutamente limitati, per non dire soffocati. C’è addirittura insofferenza verso chi rende pubblici e dimostra, dati alla mano, il diffuso fenomeno del malcostume accademico e le criticità della ricerca scientifica nel sistema universitario italiano. È invece assolutamente necessario aprire un dibattito su questi temi, ripercorrendo il reclutamento universitario italiano da un punto di vista storico, analizzando le attuali criticità del sistema e facendo delle proposte di cambiamento. Nelle università italiane, la scienza e la ricerca sarebbero marginalizzate perché chi detiene il potere teme che il talento minacci il proprio obiettivo principale: controllare l’accesso alle risorse pubbliche, per perseguire interessi privati o famigliari. Appare dunque improrogabile un intervento perentorio del legislatore sul piano della riforma universitaria, in Italia più che altrove, a fronte di una storia passata fatta di tentativi fallimentari. Proprio a tutela di quella parte buona e onesta, sana e corretta, della classe docente universitaria che quotidianamente svolge, in silenzio e con dignità, il proprio lavoro e che vede nella “mala università” un nemico (Scirè, 2021c).

È evidente che la mancanza di integrità in ambito accademico è una questione che riguarda, in misura maggiore o minore, tutti i paesi del mondo. Va detto infatti, a onor del vero, che la corruzione, più o meno sistemica, all’interno delle università è ben presente non solo a livello italiano, ma planetario. E non è un caso che ricerche condotte anche in altri paesi, per esempio in Romania, Ucraina, Nigeria e Cina,3 indichino un grave problema di corruzione nell'istruzione superiore che riguarda non soltanto i rapporti personali nelle assunzioni accademiche, ma anche la gestione finanziaria e amministrativa. Non è solo in Italia che la gestione universitaria si caratterizza come un processo informale in cui pochi “gruppi di potere” o professori potenti (da noi si chiamano “baroni”, altrove prendono denominazioni diverse) ne selezionano altri attraverso meccanismi di “cooptazione” mascherati da concorso pubblico e gestiscono il potere di attribuire fondi, progetti, appalti pubblici per favorire privati. Anche in altri paesi è stato esaminato e approfondito il fenomeno del cosiddetto “favoritismo clientelare”, come per esempio in Turchia, in Australia e in Spagna (Aydogan, 2012; Martin, 2009; Zinovyeva e Bagues, 2015).

Una modalità di ampio respiro per affrontare questo problema è proprio partire dallo studio storico del “caso italiano” per creare consapevolezza all’interno della comunità scientifica europea e globale sul fenomeno del malcostume in ambito accademico e sull'importanza di una legislazione universitaria e di un sistema di reclutamento dei docenti trasparente e meritocratico. In questo modo si potrebbe aprire la via a ulteriori approfondite ricerche per contrastare il fenomeno complessivo, con proposte concrete.

Per prima cosa va detto subito che la proliferazione e poi la successiva sedimentazione del potere accademico-baronale, espressione di un coacervo e di una rete di interessi privati e faziosi che prescindono dal valore della ricerca scientifica (che dovrebbe essere pratica costante e fine ultimo di una istituzione deputata alla diffusione dei saperi, della cultura e delle competenze scientifiche qual è l'università), deriva proprio dalle modalità di organizzazione del sistema di reclutamento universitario nella storia d'Italia. Proprio questa è stata la causa di tante storture che hanno afflitto l'università italiana e che l'hanno relegata nello stato di declino in cui essa versa oggi: perché il potere accademico-baronale è stato privato, fin dalla nascita dello stato unitario italiano, di qualsiasi forma di garanzia e di controllo esterno ma è stato gestito in modo autoreferenziale, così come ha voluto la comunità accademica e così come ha permesso di fare la classe politica (ed economica), sempre più legate a doppio nodo da lacci, legami, intrecci e collegamenti più o meno sotterranei.

Partiamo da un presupposto: in nessun altro paese del mondo l'università è pagata da tutti i contribuenti ma è gestita da soli universitari in modo del tutto arbitrario e senza controlli. L'Accademia non deve rendere conto né a chi finanzia gli atenei (lo Stato, il ministero), né sopratutto ai portatori di interessi pubblici, ovvero gli studenti e le famiglie. I docenti eleggono autonomamente le cariche direttive (rettore compresi) e gestiscono autonomamente i fondi e il reclutamento o gli avanzamenti di carriera del personale.

Altrove le cose vanno diversamente. Negli Stati Uniti esiste un equilibrio tra il potere dei docenti (dipartimenti e senato accademico) e quello politico esterno (board of trustees), espressione della società (studenti, famiglie, mondo del lavoro e dell'impresa). In Australia le organizzazioni professionali svolgono la loro funzione di controllori e arbitri della vita universitaria. In Inghilterra si è trovato un bilanciamento dei poteri garantendo l'elezione delle cariche di governo universitario non solo ai docenti ma anche agli studenti, al personale non docente, ai rappresentanti della politica e della società. Anche in Austria c'è un equilibrio perché metà dei membri ai vertici degli atenei è nominata dalla politica e l'altra metà dal senato accademico. In Francia, in Svezia, in Olanda si è imboccata la strada opposta a quella dell'autonomia (prevista dall'articolo 33 della Costituzione italiana), prevedendo la nomina politica (ministeriale e regionale) per evitare il conflitto di interessi (Triventi, 2012).

II. LEGISLAZIONE UNIVERSITARIA, COOPTAZIONE E RECLUTAMENTO DEI DOCENTI DALL'UNITÀ D'ITALIA AD OGGI

Vediamo come è andata nella storia d'Italia, ripercorrendo le vicende della legislazione universitaria e del reclutamento dei docenti dalla nascita dello Stato fino ad oggi.

È proprio l’università, fin dall'inizio, ad assumere un ruolo decisivo nei processi di trasformazione della società italiana. L'università è sempre stata dipendente dai suoi rapporti con la classe al potere. Da questo deriva lo storico ruolo di legittimazione dei rapporti di potere esistenti, di lungo corso, svolto dai docenti universitari. Nel corso di più di un secolo e mezzo di storia, l’università si è trasformata sotto la spinta dei cambiamenti economici, politici e sociali, facendo sempre da freno alle trasformazioni dell’intera società, giocando un ruolo di pura conservazione, proprio attraverso i rapporti di potere derivanti in gran parte dal controllo del reclutamento e degli avanzamenti di carriera (Giglioli, 1979). Il dato costante che emerge nella storia di questi circa centosessanta anni riguarda i meccanismi di riproduzione del sistema universitario ed ha un nome: cooptazione.4

La cooptazione è per sua natura una pratica di tipo conservatore che chiude le porte d’accesso alle forze e alle idee esterne che non sono già rappresentate all’interno del sistema stesso. Si pone in alternativa alla selezione concorsuale, all'elezione democratica e alla nomina effettuata con criteri di trasparenza. Nel corso della storia dell'università in Italia la cooptazione ha perso lentamente i suoi caratteri di favoritismo, discriminazione e spesso sopruso ed è divenuta socialmente accettata in un contesto apparentemente democratico e di pari opportunità ma in realtà fortemente antidemocratico, elitario e classista. A differenza di quello che si potrebbe immaginare, il conflitto tra sistema politico e mondo accademico (o anche tra potere centrale e poteri locali), non nasce affatto come scontro tra sostenitori dei processi democratici di selezione e fautori della cooptazione, ma come scontro per il controllo della cooptazione (Palermo, 2011, p. 14).

Negli anni del Regno d'Italia, l’accesso alla cattedra universitaria è gestito formalmente dagli accademici ma è in parte mediato dal potere esecutivo, il quale ha la necessità di mantenere e conservare la riproduzione culturale e ideologica del potere stesso attraverso il governo del reclutamento del corpo accademico. In questa fase il corpo docente conserva ampi poteri di intermediazione rispetto alla politica, con una significativa presenza in parlamento, e svolge un importante ruolo di collegamento con le classi dirigenti locali, in particolare dei possidenti agrari e dell’industria (Zannini, 2007). Dopo l'entrata in vigore della cosiddetta legge Casati (è interessante notare il fatto che in essa il termine “studenti” non è mai menzionato), il principio elettivo gestito dagli accademici, che così riescono a far valere i propri interessi particolari di categoria, favorendo il clientelismo, trova applicazione in diversi campi della vita universitaria, dalla nomina dei rettori, dei presidi della facoltà, dei direttori d'istituto, fino alla composizione delle commissioni di concorso.

Durante il regime fascista la necessità del controllo simbolico-ideologico sull'università (e sulla scuola) assume una valenza ancora più pregnante perché investe l'idea stessa di indottrinamento del popolo, il senso stesso di nazione e di Stato (Signori, 2007). La cooptazione universitaria si sviluppa pienamente solo con la caduta del fascismo, quando il corpo docente assume nelle proprie mani l'intero controllo dei meccanismi di reclutamento e di carriera, scongiurando così il rischio di qualsiasi ingerenza o intrusione esterna. Da questo punto di vista, l’assunzione diretta del controllo del reclutamento da parte della classe accademica non segna una frattura nel precedente sistema di riproduzione del corpo docente, ma rappresenta piuttosto un elemento di continuità e di evoluzione del metodo della cooptazione.

La normativa sul reclutamento universitario a partire dal dopoguerra repubblicano resta infatti basata sul Testo unico fascista del 1933 e della riforma Gentile (che recepisce ed armonizza l'impianto liberale e classista della precedente legge Casati), ispirati anch'essi comunque ad una logica di cooptazione. Il risultato è che il forte ridimensionamento del ruolo del ministero mantiene l’arbitrio nel reclutamento, divenuto praticamente assoluto durante i ministeri del regime fascista, ma sposta semplicemente il controllo della cooptazione a vantaggio del mondo accademico, cioè delle università e delle facoltà (Palermo, 2011; Moretti e Porciani, 1997; Bonini, 2007).

Nel 1958 c'è il primo vero “regalo” del governo all'Accademia, con il riconoscimento ai professori universitari della inamovibilità dell'ufficio. In cambio il mondo accademico appare sempre più asservito alla conservazione del sistema di potere politico. In nome di questo, gli accademici consolidano importanti privilegi corporativi e iniziano ad avere un rapporto sempre più diretto con la politica. Nei rapporti interni agli atenei, questo processo accentua il potere dei cattedratici più potenti (quelli con forte connotazione politica) sui loro sottoposti, i ricercatori e gli assistenti, aumentando i rapporti gerarchici fondati sempre più sulla fedeltà e sull'appartenenza. Il dato politicamente più significativo è che, sin dalle prime legislature della storia repubblicana, gli accademici acquisiscono un peso sempre maggiore e più significativo nei lavori parlamentari (in particolare nelle commissioni) e un'influenza importante all’interno dei partiti, nelle direzioni e segreterie. Si forma così una potente lobby accademica trasversale, che attraversa i diversi partiti politici da sinistra a destra, passando per il centro moderato, che riesce a bloccare qualsiasi riforma strutturale che possa intaccare i privilegi acquisiti e gli interessi della categoria (corporazione) o che possa mettere in discussione il meccanismo della cooptazione (Anastasi, 2004; Cammarano e Piretti, 1996).

Durante gli anni Cinquanta ed i primi anni Sessanta del Novecento il dibattito parlamentare intorno alla situazione dell'università è quasi assente. La motivazione non è tanto il disinteresse o l'incomprensione da parte del mondo politico sul mondo dell'alta istruzione, piuttosto una precisa volontà politica dei partiti al governo di sottrarre un argomento così complesso e determinante al dibattito pubblico, che riguarda un'area sociale talmente intricata e densa di interessi accademici da un lato e politico-economici dall'altro, contraddistinta da una rete di intrecci e legami sotterranei, tali da indurre l'élite delle classi dirigenti (formatasi nelle università), che di questi legami è spesso tramite e fine, ad intaccare il meno possibile i fragili equilibri di questo sistema di potere fondato sulle clientele (Froio, 1973).

Durante il Sessantotto, l’insieme dei provvedimenti adottati soprattutto sotto la spinta del movimento studentesco modifica profondamente gli assetti precedenti, trasformando l’università d’élite in università di massa, aperta a tutti, ma non riesce a cancellare i meccanismi del potere baronale e della cooptazione. L'apparente “democratizzazione”, che in termini accademici potrebbe sembrare un terremoto, nella sostanza non lo fu: le tenaci resistenze conservatrici dell’Accademia, che come si è detto aveva una robusta e trasversale presenza in Parlamento in tutti i partiti, si saldano in funzione “normalizzatrice” con i docenti subalterni e precari, dando vita a un conveniente adeguamento dei poteri accademici alla dinamica della società di massa (Cfr. Semeraro, 1993, pp. 245 sgg.; Ricuperati, 1995, pp. 748-749). Anzi, vengono presto reintrodotte nuove forme di impiego precario, come gli “assegni di ricerca” e i “contratti di ricerca”, controllate direttamente dai docenti più potenti a livello locale, e basate su progetti specifici che rendono ancora più semplice la cooptazione ad personam, su base locale, e ripristinano di fatto il precariato e la fedeltà assoluta dei sottoposti.

Alla fine degli anni Ottanta del Novecento, la politica sceglie di aumentare l'auto-referenzialità accademica stabilendo la triplice autonomia didattica, amministrativa e finanziaria degli atenei, limitando ancor più il già labile ruolo del ministero. La legge n. 168 del 9 maggio 1989 stabilisce l’autonomia finanziaria e contabile delle università. La legge n. 341 del 19 novembre 1990, detta “legge Ruberti”, riguarda l’autonomia con la riforma degli ordinamenti didattici. Il modello di università di Ruberti introduce una concezione del tutto particolare dell’autonomia universitaria, come autonomia (apparente) dalla sfera politica, ma non anche da quella economica. Poi la legge n. 210 del 3 luglio 1998 che prevede l’emanazione di un regolamento che disciplina le modalità delle procedure di reclutamento e che aumenta significativamente il potere di cooptazione “autonoma”, introducendo il principio che un commissario di concorso (il presidente) viene nominato direttamente dalla facoltà che richiede il bando (membro interno). Infine la legge n. 240 del 30 dicembre 2010 che accresce i poteri del rettore e del consiglio d’amministrazione, all’interno del quale è prevista la presenza di consiglieri esterni ai ruoli dell’ateneo, in rappresentanza degli interessi del mondo imprenditoriale, a scapito degli organi di natura didattica e scientifica. La riforma cosiddetta Gelmini accentua il potere locale e quello dei professori ordinari (“baroni”) e depotenzia, ponendoli ad esaurimento, il ruolo dei ricercatori, sostituendoli con contratti a tempo determinato (Colao, 2007).

L'università e la ricerca scientifica, a seguito di tutta una serie di finte riforme volute dai partiti di centro, di sinistra e di destra, non devono più rispondere alla domanda culturale e sociale del paese, ma diventano oggetto di una valutazione puramente economico-finanziaria, con redistribuzioni di potere all'interno del sistema universitario per i servizi resi alle lobby accademiche, economiche, politiche e religiose di turno.

Un esempio pratico può aiutare a capire. Se addirittura un’associazione di diritto privato come la CRUI, la Conferenza dei rettori delle università italiane,5 nata nel 1963, comprendente università sia pubbliche sia private (che fa sostanzialmente gli interessi baronali, politici delle grandi industrie e multinazionali le sono stati riconosciuti e garantiti, col passare del tempo, sempre maggiori poteri istituzionali, quasi smisurati) arriva a nominare direttamente, nel 2020, perfino il ministro dell’università, significa che non c’è alcun bilanciamento di poteri e che tra Accademia e politica esiste un enorme conflitto di interessi.

Cooptazione e autonomia,6 nel corso dei decenni, passando attraverso le varie presunte riforme che non intaccano, nei modi e nella prassi, i veri meccanismi strutturali del sistema universitario, creano negli anni Venti del XXI secolo, un assetto di potere che si può definire accademico-baronale all'interno (comunque legato ai partiti), mentre all'esterno è sempre più asservito non tanto alla politica quanto all'economia, alle imprese e alle forze del mercato, sempre più secondo una logica di profitto e sempre meno secondo una logica di diffusione del sapere e delle forme della cultura. L’analisi delle differenze di genere nei ruoli apicali dell’università italiana risulta particolarmente marcata rispetto ad altri paesi ed è evidentemente anche il frutto di questo trend storico (cfr. Facchini, 1997, 2020).

III. CRITICITÀ DELL'ATTUALE SISTEMA DI RECLUTAMENTO UNIVERSITARIO ITALIANO

Come si evince da questa sintetica ricostruzione dei centosessanta anni di storia dell'università italiana, il momento del reclutamento del personale risulta essere organizzato secondo regole non scritte (il concorso apparente; la regola della cooptazione) che garantiscono ai gruppi di potere che gestiscono i diversi settori scientifico-disciplinari e ai loro affiliati di assegnare o ricevere borse e posti, a partire dai dottorati sino ai posti di professore associato e ordinario, passando per gli assegni di ricerca e i posti da ricercatore, a soggetti graditi, selezionati per parentela, amicizia, scuola accademica, affiliazione politica o massonica, che sono sempre cooptati - salvo rarissime eccezioni - prima dello svolgimento delle procedure di valutazione concorsuale, dunque in modo predeterminato.7 Oggi lo strumento usato, nel bando di concorso, è un “profilo” didattico e scientifico che rispecchi bene le caratteristiche di chi deve vincere. Il profilo richiesto deve essere sufficientemente generico, in modo che risulti compatibile con più candidati potenziali, ma con alcune specifiche camuffate che la commissione di concorso userà al momento opportuno, cioè durante la determinazione dei criteri e la condotta materiale. Lo scopo della commissione di concorso consiste nel fissare, appunto, i criteri di valutazione, una sorta di “referaggio”. Approfittando della sua assoluta discrezionalità (una vera e propria insindacabilità che in certi casi estremi travalica l’arbitrio puro e semplice) può fissare dei criteri ad hoc e valutare a proprio piacimento i titoli e le pubblicazioni presentate dai candidati, trascurando tutto ciò che ostacola la vittoria di quello “predestinato” (Scirè, 2021c).

Si può fare qualche esempio chiarificatore.

La maggioranza dei bandi sono valutativi e non comparativi, cioè riservati al personale interno, che viene promosso a superiori livelli di carriera al riparo da qualsiasi confronto con studiosi esterni. Gli eventuali concorrenti dei soggetti “predestinati”, quelli che possono impensierirli perché bravi e capaci, meritevoli, sono ostacolati a ogni costo impedendone o rallentandone le pubblicazioni, riducendo o tagliando i finanziamenti, con un mobbing asfissiante e continuo. Anche i pochi concorsi comparativi, cioè aperti a tutti i candidati, vengono banditi dagli atenei per posti pre-individuati per studiosi interni, e in molti casi si presenta un solo candidato, quello che deve vincere, perché gli altri sono indotti a non partecipare, con la promessa di un ulteriore successivo bando ad personam. Lo certifica uno studio della celebre rivista di ambito medico, «The Lancet». In sintesi, nel reclutamento per docenti universitari (negli anni 2012-2019) delle università toscane (Firenze, Pisa e Siena) alla facoltà di Medicina – scrive la rivista scientifica inglese –, il 94 per cento delle selezioni è stato vinto da “interni”, cioè scienziati, studiosi o medici affiliati al dipartimento che bandisce il posto, e ben il 62 per cento prevedeva un solo candidato (Gallina e Gallo, 2020, p. 307).

In alcuni settori le consorterie accademiche sono giunte al punto di creare, nel corso degli decenni, delle “consulte”, nelle quali gli ordinari delle diverse discipline si incontrano periodicamente al fine di stabilire preliminarmente a chi concedere l'idoneità alla abilitazione scientifica nazionale italiana (una sorta di patente o lasciapassare per partecipare ai concorsi) e concordare i nomi dei candidati che dovranno vincere i concorsi, localmente negli atenei, degli anni successivi. È ciò che è emerso in occasione di una inchiesta della magistratura che, nel 2017, ha condotto a misure di interdizione dai pubblici uffici e che ha portato a processo per “associazione a delinquere accademica” decine e decine di professori universitari di diritto tributario. La procedura di abilitazione appare, dunque, uno specchietto per le allodole, che maschera accordi presi a monte e regolamenti di conti tra fazioni accademiche. A parte l'aspetto giudiziario, ciò che appare più interessante osservare è il risultato di uno studio pubblicato sulla rivista accademica «Scientometrics», da cui emerge che, nella prima e seconda tornata di abilitazione scientifica nazionale (2012-2014) la metà delle commissioni giudicatrici ha concesso l’idoneità a candidati che hanno avuto, nel periodo seguente, una produttività scientifica ampiamente inferiore alla media nel loro settore scientifico (un significativo numero di vincitori di concorsi è risultato addirittura totalmente improduttivo), mentre i candidati non selezionati hanno di gran lunga superato gli idonei in termini di produttività e qualità delle pubblicazioni nel successivo triennio. Lo studio dimostra che i candidati vincenti registrano prestazioni peggiori a livello scientifico, sia prima sia dopo la promozione, rispetto ai candidati che non sono stati promossi (Abramo, D’Angelo e Rosati, 2014 e 2016, p. 126.).

Si aggiunga, come fa bene a sottolineare la rivista «Il Protagora», che il sistema di potere accademico non tollera ribellioni di qualsiasi genere alle sue regole e persegue con ogni mezzo chiunque prenda posizione contro queste irregolarità e distorsioni attraverso ricorsi o anche semplicemente con denunce pubbliche. Chi si oppone, chi non è disposto all'ubbidienza e alla sottomissione, è visto come un soggetto indesiderato e pericoloso per la stabilità del sistema e subito emarginato, costretto ad abbandonare la speranza, pur avendone titoli e meriti, di una strutturazione in qualche ateneo italiano, e molto spesso costretto ad andare all'estero per proseguire le ricerche o a cambiare lavoro. La compattezza del sistema di potere, connaturatosi nel corso dei decenni, provoca un’altra conseguenza: anche molti docenti che in realtà auspicano una modalità di reclutamento più trasparente, meritocratica e legale, per opportunità pratica o quieto vivere, evitano di prendere posizione e di ribellarsi, nel timore di pagarne le conseguenze in termini di ritorsione, minacce, isolamento, adeguandosi al sistema, pur non condividendolo. Si tratta, a ben vedere, di una scelta conformistica, opportunistica e certo non qualificante sul piano civile, ma che si può, se non giustificare, quanto meno comprendere pensando allo stato di necessità di chi la esercita nel timore di essere privato per sempre di una legittima aspirazione a una strutturazione accademica (Cfr. Generali e Minazzi, 2019, p. 325).

Di fronte all’evidenza di centosessanta anni di storia del reclutamento universitario basati sulla cooptazione, sull'accentuazione dell'autonomia, che di fatto trasforma il concorso in una farsa, gli accademici non traggono la conclusione che l’università si trovi a rischio di una situazione di illegalità molto diffusa, ma deducono la necessità stessa di una modalità di cooptazione istituzionalizzata, cioè di eliminare addirittura i concorsi pubblici, per poter “scegliere i candidati migliori”.

IV. “TRASPARENZA E MERITO” E L'AZIONE DI CONTRASTO ALLA MALA UNIVERSITÀ

Soprattutto negli ultimi anni, a seguito di un'azione mediatica di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, di denunce e ricorsi nei tribunali da parte di alcuni docenti e gruppi, in particolare l'associazione “Trasparenza e Merito. L'Università che vogliamo”, sono state trovate prove evidenti, certificate da dati e sentenze, non solo della poca efficienza e mancanza di trasparenza ma anche di un sistema diffuso di illegalità in diversi atenei italiani. È accaduto qualcosa di simile in Romania una quindicina d’anni fa. Il sistema educativo e universitario del paese era corrotto, al punto che le università rumene vendevano i diplomi di laurea a buon mercato e i migliori studiosi erano costretti a trasferirsi all’estero. Addirittura alcuni ministri del governo erano stati arrestati in quanto plagiatori seriali e acclarati, diversi parlamentari che erano anche docenti all’università avevano ottenuto le poltrone attraverso agganci e influenze politiche, molti studenti avevano acquistato le loro tesi di laurea online per somme modeste, che venivano puntualmente avallate da docenti a loro volta corrotti. Per contrapporsi a tutto ciò, nel 2007, la “Romanian Academic Society”, un think tank sull’istruzione e la ricerca formato da un folto gruppo di studenti, docenti, ricercatori, sindacalisti e giornalisti, ha dato vita alla coalizione politica “Università pulite” per combattere la corruzione accademica e diffondere buone pratiche nell’università: la trasparenza (su codici etici, fonti di finanziamento, procedure di reclutamento, curriculum dei docenti), l’integrità accademica (le regole per la segnalazione di irregolarità e abusi, comportamenti scorretti), la qualità della “governance” e la gestione finanziaria.Dopo molti anni, il risultato di quel tentativo - in cui la metodologia del gruppo di lavoro prevedeva che ogni università pubblica venisse obbligatoriamente valutata, attraverso alcune interviste, da un team composto sia da docenti sia da studenti (tutti volontari) - è stato un sostanziale miglioramento in termini di trasparenza, legalità ed efficienza del sistema universitario rumeno, i cui atenei oggi, almeno, rendono pubblici in rete tutti i propri dati (Mungiu-Pippidi, 2013).

“Trasparenza e Merito”, in Italia, è qualcosa di molto più: un immenso archivio storico, sociologico, giudiziario.8 Non esistono in altri paesi precedenti di simili testimonianze pubbliche rese in merito ad esperienze di irregolarità universitarie a vario livello o di soprusi accademici. L'obiettivo che si pone questa associazione è di combattere il sistema di malaffare e corruzione dentro gli atenei, promuovere ricorsi e denunce, diventare un ideale interlocutore obbligato per le istituzioni e le forze politiche, con la proposta di cambiare alla radice il sistema di reclutamento e di attuare una riforma complessiva dell’università italiana, limitando la discrezionalità assoluta delle commissioni di concorso e prevedendo multe e sanzioni per i responsabili dei reati. Sul piano numerico il gruppo ha avuto una grande e rapida ascesa esponenziale, sia in termini di iscritti, sia di segnalazioni. Inizialmente, nel 2017, i fondatori erano dieci, oggi ne fanno parte ben 910 studiosi, provenienti da quasi tutti i settori scientifici, compresi tra i ventidue e i settantacinque anni, divisi in 213 tra professori ordinari e associati, 352 tra ricercatori a tempo indeterminato e determinato, e per il resto, 345 unità, composte da varie tipologie di giovani studiosi (dottorandi e dottori di ricerca, assegnisti, borsisti, docenti a contratto), sparsi nei diversi atenei secondo questa composizione geografica: 31 per cento al Nord, 30 per cento al Centro, 29 per cento al Sud e nelle isole, 10 per cento all’estero. Le segnalazioni certificate pervenute all’associazione sono state più di 4 mila, 850 delle quali si sono poi trasformate in ricorsi amministrativi o esposti-denunce in procura.

L’impatto che, nel corso degli ultimi anni, le sentenze dei tribunali amministrativi hanno avuto sull’università in fatto di reclutamento universitario è clamoroso, dal punto di vista non solo quantitativo ma anche qualitativo. Non ha eguali nella storia d’Italia, e non è paragonabile all’esperienza di nessun altro paese del mondo. Il ruolo svolto dalla giurisprudenza amministrativa è stato davvero meritorio e ha apportato significativi contributi, creando precedenti giuridici notevoli, impensabili, e in certi casi veramente devastanti, che influenzano il legislatore e svolgono un ruolo guida. Non vi è ambito universitario che non sia stato deciso, in ultima analisi, anche in sede giudiziaria.

Una prima ragione del fenomeno è la complessità e spesso la contraddittorietà di certe leggi a proposito di materia universitaria. Norme eccessivamente numerose, stratificatesi le une sulle altre, in molti casi di difficile comprensione. Siamo di fronte, in effetti, a un’elefantiasi normativa, cioè una esasperazione e una cattiva qualità delle regole, generata da continui ripensamenti del legislatore, da modifiche non efficaci e non ragionate, dal mancato amalgama tra norme primarie e secondarie. Ecco il motivo della possibilità del contenzioso e della sentenza risolutiva. Si aggiunga che, al contrario, in alcuni aspetti della vita universitaria esistono veri e propri vuoti normativi, ragion per cui, ancora una volta, sono costretti a intervenire i tribunali. Ha avuto così origine, soprattutto a partire dalla riforma del 2010, una sorta di fiume carsico di ricorsi e denunce, nato nel sottosuolo dell’università, in profondità, che sta lentamente e inesorabilmente modificando il sistema di reclutamento universitario. È una specie di crepa, una breccia nel muro del sistema universitario storicamente fondato, come si è detto, sulla cooptazione. In poche parole, ciò che una università seria, corretta, rispettosa delle regole del pubblico concorso (secondo l'articolo 97 della Costituzione italiana), avrebbe dovuto realizzare da sola, auto-riformandosi, viene invece realizzato, mediante i ricorsi e le denunce di alcuni coraggiosi candidati ingiustamente penalizzati, attraverso la via giudiziaria.

Esiste un’ampia letteratura giurisprudenziale che spiega questo fenomeno.9 I numeri parlano chiaro. Solo nell’anno 2015 il presidente del TAR (Tribunale amministrativo regionale) del Lazio ha comunicato che ben 1240 procedimenti di ricorso sono stati avviati per la procedura di abilitazione scientifica nazionale italiana (Abramo, D’Angelo e Rosati, 2016). Più di cinquemila sentenze in materia universitaria dal 2014,10 con un dato in continuo aumento. Una crescita esponenziale e un incremento in termini percentuali del 40 per cento dei ricorsi sul reclutamento universitario dal 2018 ad oggi (Cassiano, 2019). A seguito di alcune dettagliate denunce fatte da membri di “Trasparenza e Merito” le procure della Repubblica italiana hanno svolto indagini sui concorsi in atenei come Catania, Firenze, Roma Tor Vergata, Perugia, Palermo e Milano, ed hanno individuato delle cosiddette “associazioni a delinquere accademiche” che gestivano, predeterminando e pilotando l'esito del reclutamento, coinvolgendo a vario titolo e per reati diversi (turbativa di concorso, abuso di ufficio, falso ideologico, tentata corruzione e concussione) alcuni rettori e altre cariche apicali.

Sul quadro desolante che emerge dalle inchieste delle procure fiorentina e catanese, basti riportare le parole durissime degli inquirenti.

Scrive il procuratore aggiunto di Firenze Luca Testaroli: “Il dato più significativo che emerge dai risultati investigativi finora conseguiti è l’esistenza di un centro di potere che gestisce la cosa pubblica come se fosse cosa propria, come se tutto quel che riguarda la vita universitaria debba essere gestito in funzione personale con scambi di favori, facilitando i propri clientes nell’occupazione di posti di ricercatore e di professore ordinario e associato. A queste valutazioni deve aggiungersi la sicumera di impunità degli indagati, i quali hanno agito con dispregio delle regole di legalità, oltre che dei princìpi istituzionali di efficienza e imparzialità dell’azione amministrativa, nonostante la consapevolezza della sussistenza di plurime investigazioni in atto” (Massari, 2021).

Dice il procuratore capo di Catania Carmelo Zuccaro: “Il merito non esisteva in un mondo desolante e squallido [...]. Il sistema corruttivo è quello per cui io oggi ti faccio accedere a quel posto, tu sai che ci accedi non per merito ma perché io ti ci ho portato, domani ti dovrai spendere [...] perché mi dovrai ripagare questo favore [...]. Vi è tutto un mondo di professori universitari, di studenti, di ricercatori che si trova stretto a questo ambiente che risponde a queste logiche [...]. Noi invochiamo da queste persone che si facciano avanti, che denuncino, perché se vogliamo cambiare occorre anche avere la coscienza civica di protestare contro questo sistema, non dobbiamo nasconderci dietro l’alibi «ma così fanno tutti»” (Conferenza..., 2019).

Sempre nel corso della stessa conferenza stampa, Raffaella Agata Vinciguerra, pubblico ministero nell'inchiesta “Università bandita” di Catania, rincara la dose: “Sul codice sommerso di comportamento dei docenti noi siamo rimasti, con i colleghi magistrati, molto basiti nel ritrovare – e perdonatemi l’abbinamento – delle conversazioni e delle modalità procedurali «para-mafiose». È un codice sommerso che è basato essenzialmente sul ricatto e sul guadagno reciproco che prescinde assolutamente dal merito. Nel senso che poteva pure capitare che vincesse o accedesse al concorso una persona che era meritevole, ma era già stato predestinato e deciso. I concorsi infatti non venivano nemmeno più chiamati per materia, ma venivano chiamati per nome. Questo è il codice e il «patto scellerato» che stava alla base di tutto. L’università doveva essere in mano solo a pochi, figli dei figli, o comunque soggetti che facevano parte e che mantenevano questo accordo e questo patto. […] La cosa che rattrista è che quella che dovrebbe essere la cultura, la culla della scienza, e quindi la speranza del paese, in realtà adotta gli stessi metodi che noi magistrati molte volte ritroviamo nelle associazioni mafiose. È la stessa identica cultura della forza e del ricatto: se sei dentro quel circuito bene, se sei fuori da quel circuito, non ottieni assolutamente nulla, quindi anche il ragazzo o il professore tendenzialmente perbene, se non accetta la condizione a sua volta di ricambiare il favore, tanto vale che se ne vada da un’altra parte” (Conferenza..., 2019).

Il risultato finale di tutto ciò che ho descritto finora non è soltanto un ambiente lavorativo universitario in cui la prassi in Italia è costituita dalla cooptazione anti-meritocratica e spesso clientelare e nepotistico11 (e non dalla valutazione comparativa trasparente), ma anche un luogo in cui sono fortemente ridimensionati valori quali onestà, legalità, coerenza con gli scopi istituzionali, che invece dovrebbero essere portanti per le classi accademiche e dirigenziali di un paese. Inoltre si assiste a un abbassamento delle competenze e a un forte condizionamento in negativo delle linee di sviluppo e della qualità del pensiero scientifico.

L’esito finale rischia di essere la perdita di credibilità dell’intera istituzione, la rinuncia alla dimensione critica e innovativa della ricerca scientifica e l’affermazione dell’istinto più deleterio di conservazione, nonché dell’auto-referenzialità. Come dimostra un recente studio, a trarre beneficio dalle pubblicazioni italiane sarebbe soltanto la stessa Accademia locale e non già le istituzioni scientifiche degli altri paesi (ben diversamente da quanto accade in Inghilterra, Stati Uniti, Germania o Francia, dalle cui pubblicazioni trae beneficio la comunità accademica e scientifica globale). Emerge una dimensione provinciale e localistica, aggravata dalla carenza, per non dire dall’assenza, di flussi di conoscenza riscontrabili tra pubblico e privato sulla base di indicatori scientifici e tecnologici, ovvero di osmosi tra istituzione universitaria, economia e società (Abramo e D’Angelo, 2018).

Altrove il sistema universitario non è perfetto ma sembra rivelare maggiori anticorpi (Cavallo Perin, Racca e Barbati, 2016).

In Finlandia, per esempio, esistono finanziamenti aggiuntivi e premianti dal parte del ministero alle singole università che incentivano esclusivamente i requisiti di merito. Per essere chiamati come professori (dove esiste il ruolo unico della docenza) sono previsti revisori esterni agli atenei ed è necessario documentare una ricerca altamente qualificata e di eccellenza, misurata dalle pubblicazioni. Le chiamate per i candidati vengono effettuate in forma pubblica, in tempi rapidi, spesso con semplici annunci sui giornali o sui siti.

In Germania, una caratteristica determinante e peculiare del sistema di reclutamento universitario è che i ricercatori abilitati non possono ottenere una cattedra nella propria università. Si chiama divieto di promozione interna. Inoltre, la procedura per la nomina dei professori è la stessa in tutte le università tedesche: i membri della commissione devono essere rappresentanti di altre facoltà, esperti studiosi che non hanno alcun rapporto personale con i candidati, e una particolare attenzione viene riservata alla «competenza specifica per materia».

In Inghilterra, la struttura accademica e l’accesso al mercato del lavoro dopo l’università sono decisamente più che competitivi. Gli incentivi per selezionare i migliori candidati sono fortissimi: l’autonomia dell’università si unisce alla valutazione del reale rendimento accademico, in particolare delle pubblicazioni (attraverso il Research Excellence Framework, un accurato sistema valutativo). La mobilità tra le istituzioni universitarie inglesi, a differenza che da noi, è molto elevata, e quindi la promozione nella carriera è ottenuta, soprattutto, quando si fa domanda per una posizione più alta in un’altra istituzione. Più in generale, il sistema accademico britannico è molto dinamico: se una posizione viene liberata, spesso a causa della grande mobilità interuniversitaria, se ne apre quasi immediatamente un’altra per colmare il vuoto.

Poi c'è il programma europeo che richiama il nome della grande scienziata Marie Skłodowska-Curie e che fa parte del pilastro Excellent Science del programma di finanziamento Horizon 2020 della Commissione europea, creato al fine di incentivare il fenomeno della mobilità e di grande aiuto per aumentare la competizione internazionale e far crescere il livello scientifico della ricerca, sulla base esclusiva del merito, cioè del curriculum e dell’eccellenza scientifica del singolo progetto di ricerca, a seguito di una rigorosa selezione fondata su precisi e oggettivi criteri di aggiudicazione (Agenzia per la promozione della ricerca europea, 2020).

Di fronte al documentato scempio dell’istituzione universitaria italiana, sedimentatosi nel corso dei decenni attraverso il meccanismo della cooptazione non virtuosa, e della autonomia che diventa arbitrio, davanti a questa vera e propria emergenza costituzionale la domanda sorge spontanea: davvero questa malattia, gravissima e di lungo corso, sarebbe del tutto incurabile e inestirpabile dal tessuto connettivo della società italiana? La risposta è no. Ciò che serve all’università italiana per tagliare i ponti con questi metodi che oggi la stanno portando alla deriva non può che essere una riforma complessiva e radicale delle regole. È la ricetta proposta da “Trasparenza e Merito”, diffusa in più occasioni sulla carta stampata italiana, sui media televisivi, sui social network e nei tavoli istituzionali, nazionali e internazionali. È stata inviata infatti da parte dell'associazione una lettera aperta alla presidente della Commissione europea, per sensibilizzare la comunità scientifica e politica europea, con il titolo: “Memorandum to the European Commission Italian Universities”.12

V. LE PROPOSTE DI MODIFICA ALLA LEGGE 240/2010 SULL'UNIVERSITÀ

La proposta avanzata da “Trasparenza e merito” si fonda su un sistema di incentivi e disincentivi, di premi e di sanzioni, in modo tale che sia nell’interesse degli individui che ne fanno parte, i docenti onesti, fare buona ricerca e buona didattica, innalzando il livello scientifico e culturale complessivo, ed evitando comportamenti non etici, irregolari, illegali o corrotti, che alla lunga penalizzano tutta la collettività e avvantaggiano solo pochi. Si tratta di mettere in atto, nel contempo, una rivoluzione della mentalità e una riforma delle regole, che agiscano sul doppio fronte della governance, cioè quello della selezione della direzione, della guida e dell’azione di controllo e garanzia degli atenei, e quello del reclutamento del personale. Sono due elementi strettamente connessi, che si condizionano a vicenda. Occorre intervenire, drasticamente, su entrambi gli aspetti attraverso alcune semplici ed efficaci proposte – un decalogo - che rappresentano le soluzioni per cambiare l’università italiana.13

Uno. Modificare in senso democratico, secondo il principio “una testa un voto”, le norme che regolano l’elezione del rettore e che oggi, come ieri, seguono procedure feudali e oligarchiche, cioè basate sul meccanismo del “voto ponderato”, che sancisce il diritto di voto con prevalenza per i “baroni”, con il risultato di penalizzare invece fortemente i ricercatori, i precari, il personale tecnico-amministrativo e gli studenti (che di fatto sono l’asse portante della vita universitaria).

Due. Programmare il fabbisogno e impostare la cosiddetta “pianta organica” dei vari atenei sulla base di reali e comprovate esigenze didattiche e di ricerca nei diversi settori scientifici (a partire dal numero di studenti che seguono i rispettivi corsi), in modo da rendere ogni università competitiva e all’avanguardia rispetto a parametri territoriali, nazionali e internazionali, evitando sprechi di risorse per chiamate predeterminate.

Tre. Eliminare tutte le figure precarie e istituire un “ruolo unico” della docenza universitaria, senza differenziazione tra professori ordinari e associati che, pur svolgendo le stesse mansioni, hanno una retribuzione diversa, il che fa aumentare la possibilità di scambio di favori e corruzione negli avanzamenti di carriera, in forma di concorso ad personam.

Quattro. Cancellare i concorsi locali in cui proliferano clientele, favoritismi e corruzione. Nel caso di mantenimento forzato dei concorsi locali, vietare la partecipazione in commissioni ai docenti dell’ateneo che bandisce la procedura. Incentivare la partecipazione al concorso da parte di candidati esterni. Vietare che il commissario sia in conflitto di interessi per ragioni più ampie di quanto previsto, come nel caso di collaborazione assidua con il candidato che deve valutare. Imporre un minimo di tre candidati partecipanti al concorso affinché l’esito sia valido, pena l’annullamento.

Cinque. Istituire un concorso nazionale con commissioni interamente sorteggiate (sul totale dei docenti e non solo tra quelli che si rendono disponibili) e formate almeno da sette-dieci membri per settore. Predisporre criteri di valutazione in base a una griglia ministeriale che, fra l’altro, preveda la determinazione per ciascun settore dei punteggi minimo e massimo su titoli e pubblicazioni, in modo da limitare o ridurre il più possibile l’arbitrio delle commissioni. Garantire la massima trasparenza delle procedure prevedendo l’integrale pubblicazione degli atti concorsuali, l’eventuale presentazione di ricorsi, il loro esito e le decisioni assunte dagli organi competenti (autotutela, esecuzione di sentenza eccetera).

Sei. Monitorare costantemente l’attività del docente selezionato con una valutazione ex post della sua produzione scientifica, non affidata a una commissione, ma prevedendo soglie automatiche da superare, secondo parametri e criteri internazionali, e premiare in termini di bonus a livello economico la produttività, sfavorendo invece gli inerti.

Sette. Penalizzare e diminuire i fondi ordinari per gli atenei “viziosi”, dove si verificano i contenziosi, con simmetrica premiazione degli atenei “virtuosi”, dove non si verificano. Per esempio nella misura del 3-5 per cento in meno agli atenei che non ottemperano alle sentenze, non vigilano sui conflitti di interesse previsti dall’ANAC (Autorità Nazionale Anti Corruzione), non sanzionano illogicità di valutazione e non perseguono le procedure irregolari. Non si può demandare il compito di riformare il sistema universitario alla magistratura, ma occorre etica pubblica.

Otto. Prevedere sanzioni severe (multe, sospensioni, procedi- menti disciplinari) per i commissari coinvolti in concorsi truccati, che si sono macchiati di irregolarità a livello di giustizia amministrativa, civile, penale e contabile, così che il danno subito non gravi sulla collettività, ma ricada sui diretti responsabili.

Nove. Rendere esplicita la possibilità – già prevista in linea interpretativa – di giungere al commissariamento di quegli atenei che hanno reiteratamente e gravemente violato disposizioni legislative, oltre che per ragioni di deficit finanziario, in modo simile a quanto accade per i Comuni e, in taluni casi, per le Regioni.

Dieci. Premiare il merito significa anche punire il demerito. Coloro che nel corso degli anni si dimostrano incapaci di fare ricerca e non superano i livelli standard e le soglie di qualità della produzione scientifica internazionale, vanno estromessi dall’università, per liberare risorse a giovani più promettenti.

In un sistema universitario che funziona, la distribuzione dei docenti dovrebbe avere la forma di una piramide, invece nel sistema italiano le percentuali sono rovesciate: 51 per cento di professori ordinari e associati (quest’ultima categoria, in particolare è in eccessiva crescita numerica), 29 per cento ricercatori, 20 per cento assegnisti. Nessun altro paese europeo (a partire da Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Polonia, Slovenia, Spagna, Svezia, Inghilterra) evidenzia una simile stortura.

Il sistema universitario italiano costituisce, da sempre e in massima parte, un servizio pubblico. E qual è il pubblico a cui le università si rivolgono? Gli studenti e l'intera società, cioè le famiglie, che li finanziano, al cui progresso intellettuale e benessere economico e sociale devono contribuire. Lo scopo della selezione del personale docente e ricercatore universitario deve mirare, dunque, solo all'avanzamento delle conoscenze e garantire che lo studente riceva la migliore istruzione e formazione possibile. Molte disfunzioni dell’università pubblica, come si è visto, hanno origine da un'errata identificazione del pubblico cui si rivolgono, cioè non la società e gli studenti, ma i docenti, i ricercatori, il personale amministrativo (indotti da partiti politici e sindacati). Confondere la democrazia con il corporativismo, cioè quello che accade, come si è visto, mediante la cooptazione, quando l’università pubblica è intesa come una mera agenzia di collocamento, “postificio”, porta ad a un uso improprio, clientelare e distorto, dell'autonomia universitaria, poiché l'università deve essere al servizio della società, non di sé stessa.

Di fronte a questi fatti incontrovertibili, dati statistici, sentente certificate dai tribunali, inchieste delle procure, che dimostrano un trend chiarissimo di declino e degrado complessivo del sistema universitario italiano, chiedere ancora più autonomia per il sistema accademico-baronale, attraverso l’abolizione dei concorsi e l’istituzionalizzazione della cooptazione, significa l’esatto contrario di criteri chiari e trasparenti, ovvero l’impossibilità di immissione di soggetti nuovi, esterni al gruppo di potere o al “cerchio magico”, e inoltre offre ancora più occasioni ad atenei e dipartimenti, ma in realtà alle lobby che li gestiscono, di usare il potere di reclutare, valutare e remunerare i docenti a scopi clientelari, anche perché non incorrono in alcun tipo di vera sanzione giudiziaria ed economica. Significa, in poche parole, ancora meno efficienza e ancora più spreco, meno democrazia e più oligarchia nell’università italiana.

Un sistema basato su una malintesa e sempre crescente autonomia, che i padri costituenti italiani avevano inizialmente riservato alle università per tutelare la libertà d’insegnamento dei docenti calpestata dal regime fascista, ma che si è tradotta, con il passare del tempo, in una discrezionalità senza limiti e in abuso di potere degli atenei.

Non va dimenticato mai che quando il mondo accademico pretende di indicare una via di “cooptazione” ancora più agile e aperta rispetto al passato di centosessanta anni di storia dell'università, fuori dal concorso pubblico, per facilitare ancor di più pratiche e logiche di favoritismo, raccomandazione, clientela, corruzione, non solo provoca danni alla cittadinanza, ma si pone al di sopra della Costituzione (Scirè, 2019c).

La prima cosa da fare in una radicale idea di riforma dell'università italiana, dopo aver compreso nei dettagli e storicamente come funziona il sistema, è spezzare i legami occulti tra i centri del potere politico e le roccaforti accademiche. Se tra classe politica e Accademia, come abbiamo cercato di evidenziare in questo articolo, c’è un legame strettissimo, quasi inscindibile, di reciprocità sulla base dello scambio di favori, e se è vero che quindi la responsabilità di come non funziona, o di come funziona male il sistema universitario italiano, nel corso dei decenni, è da attribuirsi equanimemente a entrambe le classi, quella docente e quella politica, allora è chiaro che va tagliato il filo conduttore, va chiuso il rubinetto, va spezzata la corda.

VI. CONCLUSIONE

Il discorso che è stato fin qui affrontato, sul piano della premessa metodologica, sul piano storico e sociologico, sul piano legislativo e giuridico, si muove su un terreno preciso e delimitato da regole e princìpi non solo condivisibili, ma universali. L’etica pubblica e l'integrità, all’università come altrove, sono fondamentali ma non sono sufficienti, occorre il rispetto della legalità. Una magistratura (amministrativa, penale, contabile) che indaghi realmente e che giunga a sentenze, con condanne esemplari e multe salatissime, in tempi non biblici, non basta, serve una precisa azione di modifica legislativa. L’Accademia, come si è dimostrato nella storia dell'università italiana, non può auto-riformarsi da sola, ma la spinta propulsiva al cambiamento deve venire in primis dalla cittadinanza e poi dal suo sottosuolo, da quella parte di accademici che ha avuto il coraggio di denunciare gli abusi, e dalle nuove generazioni di studiosi, dagli studenti. Per ogni decisione di pianificazione, programmazione o reclutamento nell’università deve esserci uno e un solo decisore univoco e responsabile, che paghi in prima persona se le cose non vanno, e che sia elogiato e incensato se le cose funzionano. Ovviamente questo atto di responsabilizzazione accademica non basta, ma occorre che ogni decisore interno sia controllato da un organo esterno, che può essere il ministero o la magistratura, e che sia aperto a contributi esterni (per esempio un pool di esperti del mondo della società civile), nel prendere in considerazione le critiche al fine di formulare la migliore soluzione possibile. Perché il miglioramento e il cambiamento possono venire solo dalla discussione, dal dibattito pubblico e non certo dall'occultamento delle criticità e delle problematiche. Perché l’università non può essere un mondo autoreferenziale, ma è un bene pubblico, collettivo.

Se si capisce che l’università, in quanto bene pubblico, rappresenta il vero motore per cambiare il futuro del paese, per guardare al progresso e non al declino, allora deve essere chiaro che non conviene a nessuno buttarci dentro combustibile scadente, come è accaduto per decenni in Italia, altrimenti il motore si ferma rispetto ad altre nazioni più avanzate. Ed è proprio ciò che sta accadendo in questi ultimi tempi.

È evidente che la politica, come sempre avvenuto nella storia del mondo, si fa interprete di istanze e richieste della cittadinanza solo se subodora un consenso e la possibilità di accrescerlo. L’istanza di cambiamento e rinnovamento dell’università è essenziale per i cittadini e le famiglie, e quindi per attribuire consensi alla classe politica, perché i danni che si provocano al paese con un sistema di organizzazione e reclutamento universitario carente, truccato, corrotto, mancante di integrità e di etica, sono enormi, devastanti, inestimabili. Una volta compreso che un sistema universitario più equo, più democratico, più trasparente, più meritocratico, giova a tutti, mentre da un sistema truccato, corrotto, clientelare, diseguale, traggono vantaggio in pochi, o comunque un ristretto numero di persone rispetto alla maggioranza, occorre convogliare le energie per una vera e radicale riforma del sistema universitario, come mai avvenuto nella storia d'Italia, attraverso una spinta dal basso, che porti a uno scatto, a un cambiamento e a una vera e propria rivoluzione culturale.

Il discorso che è stato articolato in questo saggio propone alcune soluzioni alla comunità scientifica e alla cittadinanza europea per iniziare una riflessione profonda sulla necessità di cambiamento dell’università che faccia da presupposto per il miglioramento della classe dirigente, dello Stato e della società italiana.

VII. BIBLIOGRAFÍA

Abramo, G. e D’Angelo, C. A. (2018). Who Benefits from a Country’s Scientific Research? Journal of Informetrics, 12(1), 249-258. https://doi.org/10.1016/j.joi.2018.01.003

Abramo, G., D’Angelo, C. A., e Rosati, F. (2014). Career Advancement and Scientific Performance in Universities. Scientometrics, 98(2), 891-907. https://doi.org/10.1007/s11192-013-1075-8

Abramo, G., D’Angelo, C. A., e Rosati, F. (2016). Gender Bias in Academic Recruitment. Scientometrics, 106(1), 119-141. https://doi.org/10.1007/s11192-015-1783-3

Agenzia per la promozione della ricerca europea (Apre) (2020). Una panoramica sulla partecipazione italiana a Horizon 2020, aggiornamento 2020. https://apre.it/wp-content/uploads/2021/04/panoramica_h2020_edizione2020.pdf

Anastasi, A. (2004). Parlamento e partiti in Italia. Una ricerca sulla classe politica italiana dalla I alla XIV legislatura. Milano: Giuffrè.

Aydogan, I. (2012). The Existence of Favoritism in Organizations. African Journal of Business Management, 6(12), 4577-4586. https://doi.org/10.5897/AJBM11.2692

Barbati, C. (2019). Il sistema delle autonomie universitarie. Torino: Giappichelli.

Bonini, F. (2007). La politica universitaria nell’Italia repubblicana. In G. P. Brizzi, P. Del Negro e A. Romano (a cura di), Storia delle università in Italia. Messina: Sicania.

Cammarano, F. e Piretti, M. S. (1996). I professionisti in parlamento (1861- 1958). In M. Malatesta (a cura di). Storia d’Italia. I professionisti. Annali 10. Torino: Einaudi.

Carlucci, D., e Castaldo, A. (2010). Un paese di baroni. Milano: Chiarelettere.

Cassiano, A. (2019, 20 febbraio). Scuola e università mandano in tilt i Tar. La Sicilia.

Cavallo Perin, R., Racca, G. M., e Barbati, C. (eds.) (2016). The academic recruitment in Europe. Napoli: Editoriale Scientifica.

Commissione europea (2005). Carta europea dei ricercatori. Codice di condotta per l'assunzione dei ricercatori. European Communities.

Colao, F. (2007). Tra accentramento e autonomia: l’amministrazione universitaria dall’Unità a oggi. In G. P. Brizzi, P. Del Negro e A. Romano (a cura di). Storia delle università in Italia. Messina: Sicania.

Conferenza stampa della Procura del Tribunale di Catana (2019, 28 giugno). https://www.radioradicale.it/scheda/578240/conferenza-stampa-sulloperazione-della-digos-denominata-universita-bandita?i=4008185&qt-blocco_interventi=0

Corradi, S. (1998). Le conferenze dei rettori delle università (CRUI): storia e documenti. Roma: Aracne.

Davigo, P., e Mannozzi, G. (2007). La corruzione in Italia (prefazione di V. Grevi). Roma: Laterza.

Facchini, C. (1997). Uomini e donne nell'università italiana. In R. Moscati (a cura di). Chi governa l'università? Il mondo accademico tra conservazione e mutamento. Napoli: Liguori.

Facchini, C. (2020). Il cristallo incrinato: il caso dei direttori e delle direttrici dei dipartimenti universitari italiani. Sociologia italiana, 15, 11-37.

Fini, M. (2017). Università e puttane. Scarmagno: Priuli & Verlucca.

Froio, F. (1973). Università: mafia e potere. Firenze: La Nuova Italia.

Froio, F. (1996). Le mani sull’università. Roma: Editori Riuniti.

Gallina, P., e Gallo, O. (2020). Asphyxia of Italian Academia in Medicine and Political Deference. The Lancet, 396. https://doi.org/10.1016/S0140-6736(20)30626-7

Gardini, N. (2009). I baroni. Milano: Feltrinelli.

Generali, D., e Minazzi, F. (2019). Per un pubblico dibattito sull'università italiana. Il Protagora, 31-32.

Giglioli, P. (1979). Baroni e burocrati. Bologna: Il mulino.

Loewenstein, K. (1990). Le forme della cooptazione. I processi autonomi di riproduzione dei gruppi privilegiati. Milano: Giuffrè.

Luca, N. (2009). Parentopoli. Quando l'università è affare di famiglia. Venezia: Marsilio.

Marra, A. (a cura di) (2020). Il diritto delle università nella giurisprudenza a dieci anni dalla legge n. 240/2010. Torino: Giappichelli.

Martin, B. (2009). Academic Patronage. International Journal for Educational Integrity, 5(1), 3-19. https://doi.org/10.21913/IJEI.v5i1.478

Massari, A. (2021, 12 marzo). Firenze, l’università dei baratti: «Qui non prevalgono i migliori». Il Fatto Quotidiano.

Moretti, M. e Porciani, I. (1997). Il reclutamento accademico in Italia. Uno sguardo retrospettivo. Annali di storia delle università italiane, 1, 11-39.

Mungiu-Pippidi, A. (2015). Corruption: Good Governance Powers Innovation. Nature, 518, 295-297. https://doi.org/10.1038/518295a

Mungiu-Pippidi, A. (2013, 21 novembre). Corruption in Universities: A Blueprint for Re- form. Times Higher Education.

Palermo, G. (2011). L'università dei baroni. Centocinquant'anni di storia tra cooptazione, contestazione, mercificazione. Milano: Edizioni Punto Rosso.

Perotti, R. (2008). L’università truccata. Torino: Einaudi.

Ricuperati, G. (1995). La politica scolastica, in Storia dell'Italia repubblicana. Le trasformazioni dell'Italia: sviluppo e squilibri. Istituzioni, movimenti, culture 2. Torino: Einaudi.

Santoni Rugiu, A. (1991). Chiarissimi e magnifici: il professore nell'università italiana. La Nuova Italia.

Scirè, G. (2019a, 20 giugno). Università e merito: non torniamo allo Statuto. Corriere della Sera.

Scirè, G. (2019b, 10 luglio). Un’altra Università è possibile. Il Fatto Quotidiano.

Scirè, G. (2019c, 30 agosto). Università: abbandonare i concorsi è un errore. Il Sole 24 Ore.

Scirè, G. (2020, 29 ottobre). Quell'autonomia che ha trasformato l'università in un fortino feudale. Il manifesto.

Scirè, G. (2021a,12 marzo). Norme più stringenti per impedire la cooptazione. La Repubblica (ed. Firenze).

Scirè, G. (2021b, 29 settembre). Un decalogo sulla Mala università. MicroMega.

Scirè, G. (2021c). Mala università. Privilegi baronali, cattiva gestione, concorsi truccati. I casi e le storie. Milano: Chiarelettere.

Semeraro, A. (1993). Il mito della riforma. La parabola laica nella storia educativa della Repubblica. Firenze: La Nuova Italia.

Shola Omotola, J. (2007). The Intellectual Dimensions of Corruption in Nigeria. African Sociological Review/Revue Africaine de Sociologie, 11(2), 29-41.

Shola Omotola, J. (2013). Corruption in the Academic Career. In Global Corruption Report: Education (pp. 185-188). Abingdon: Routledge.

Signori, E. (2007). Università e fascismo. In G. P. Brizzi, P. Del Negro e A. Romano (a cura di), Storia delle università in Italia. Messina: Sicania.

Triventi, M. (2012). Sistemi universitari comparati. Riforme, assetti istituzionali e accessibilità agli studenti. Milano: Bruno Mondadori.

Vasylyeva, A., e Merkle, O. (2018). Combatting Corruption in Higher Education in Ukraine. Merit Working Papers, Maastricht Economic and Social Research Institute on Innovation and Technology, 021.

Yang, R. (2015). Corruption in China’s Higher Education: a Malignant Tumor. International Higher Education, 39, 18-20. https://doi.org/10.6017/ihe.2005.39.7473

Zagaria, C. (2007). Processo all’università. Bari: Dedalo.

Zannini, A. (2007). I maestri: Carriere, metodi didattici, posizione sociale, rapporti con le professioni. In G. P. Brizzi, P. Del Negro e A. Romano (a cura di), Storia delle università in Italia. Messina: Sicania.

Zinovyeva, N. e Bagues, M. (2015). The Role of Connections in Academic Promotions. American Economic Journal: Applied Economics, 7(2), 264-292. https://doi.org/10.1257/app.20120337

Nota

1 Davigo y Mannozzi, 2007.

2 International Center for Academic Integrity (ICAI), European Network of Academic Integrity (ENAI).

3 Shola Omotola, 2007 y 2013; Rui Yang, 2015; Vasylyeva e Merkle, 2018.

4 Per una riflessione filosofica e politologica del termine si rimanda a Loewenstein, 1990.

5 Corradi, 1998.

6 Per una riflessione giuridica del termine si rimanda a Barbati, 2019.

7 Più in dettaglio, sull'argomento si vedano: Froio, 1973 y 1996; Zagaria, 2007; Perotti, 2008; Gardini, 2009; Luca, 2009; Carlucci e Castaldo, 2010; Fini, 2017.

8 https://www.trasparenzaemerito.org/

9 Si veda, in particolare: Scirè, 2021c.

10 Marra, 2020, p. 39.

11 Il problema del nepotismo accademico è ben analizzato nel libro di Santoni Rugiu, 1991.

12 Cfr. Trasparenza e Merito. L'Università che vogliamo, Memorandum to the European Commission Italian Universities, in Scirè, 2021c, pp. 305-309.

13 Le proposte di riforma dell’università avanzate da Trasparenza e Merito sono state rese note in alcuni articoli di giornale: Scirè, 2019a, 2019b, 2020, 2021a, 2021b.

Author notes

* Ricercatore di Storia contemporanea

Additional information

Cómo citar : Scirè, G. (2022). Storia e cronaca di un fallimento. Il reclutamento universitario in Italia tra cooptazione, carenza di integrità accademica e proposte di cambiamento. Revista Estudios Jurídicos. Segunda Época, 22, e7541. https://doi.org/10.17561/rej.n22.7541

Secciones
Revista de Estudios Jurídicos
ISSN: 1576-124X

Num. 22
Año. 2022

Storia e cronaca di un fallimento. Il reclutamento universitario in Italia tra cooptazione, carenza di integrità accademica e proposte di cambiamento

Giambattista Scirè
Università di Catania,Italia
Contexto
Descargar
Todas